Festa del Cinema: “Dear Evan Hansen” di Stephen Chbosky e “Passing” di Rebecca Hall
Secondo giorno alla 16a Festa del Cinema di Roma, con due titoli hollywoodiani molto attesi. Anzitutto il dramma adolescenziale a pennellate educational “Dear Evan Hansen”, adattamento dell’omonimo musical in cartellone a Broadway dal 2016 e vincitore di 6 Tony Awards. Nel cast spiccano Ben Platt, Julianne Moore e Amy Adams. E ancora, “Passing”, un dramma nella New York anni ’20 che corre sul filo della discriminazione della popolazione afroamericana. Protagoniste le intense Tessa Thompson e Ruth Negga. Il punto Cnvf-Sir
Secondo giorno alla 16a Festa del Cinema di Roma, con due titoli hollywoodiani molto attesi. Anzitutto il dramma adolescenziale a pennellate educational “Dear Evan Hansen”, adattamento dell’omonimo musical in cartellone a Broadway dal 2016 e vincitore di 6 Tony Awards. A dirigerlo per il grande schermo è Stephen Chbosky e nel cast spiccano Ben Platt, Julianne Moore e Amy Adams. Il titolo è una proposta condivisa dalla Festa del Cinema e dalla sezione educational Alice nella Città. E ancora, “Passing” debutto alla regia dell’attrice britannica Rebecca Hall targato Netflix, un dramma nella New York anni ’20 che corre sul filo della discriminazione della popolazione afroamericana. Protagoniste le intense Tessa Thompson e Ruth Negga.
Il punto Cnvf-Sir.
“Dear Evan Hansen”
Va riconosciuto al regista-sceneggiatore statunitense Stephen Chbosky (classe 1970) un certo talento nel raccontare il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Dopo i consensi di critica e pubblico per “Wonder” nel 2017, dal fortunato romanzo di R. J. Palacio, il regista firma la regia di “Dear Evan Hansen”, adattamento cinematografico del musical teatrale di Steven Levenson e del duo Benj Pasek & Justin Paul.
Muovendosi tra dramma a sfondo psicologico-esistenziale, con raccordi musical, il film “Dear Evan Hansen” mette a tema l’isolamento sociale di un adolescente, chiuso in se stesso e assalito da ripetuti attacchi di ansia.
Evan Hansen (a interpretarlo è Ben Platt, che ha ricoperto il ruolo anche nello spettacolo a Broadway conquistando un Tony Award) è uno studente dell’ultimo anno di liceo, chiamato ad affrontare controvoglia la ripresa scolastica. Per lui è stata un’estate particolarmente difficile; a sostenerlo c’è solo la premurosa madre Heidi (Julianne Moore), che si barcamena tra turni logoranti in ospedale. Evan si sente costantemente fuori posto, senza amici. Lo scontro-incontro con un suo coetaneo cambierà corso alla sua esistenza e a quello delle persone vicine a lui.Costruito sull’espediente della “bugia bianca”, il film “Dear Evan Hansen” ci conduce nelle pieghe dell’animo adolescenziale, nel cuore delle tempeste emotive più problematiche.Prospettiva del racconto, infatti, è quella di chi si sente tagliato fuori, emarginato dalla comunità scolastica; Evan è l’emblema dell’“outsider” come riporta il manifesto del film, di chi fatica a entrare in partita con la vita. Con grande delicatezza Chbosky e lo sceneggiatore Levenson tratteggiano il mondo di Evan Hansen, così fragile e preda di tante insicurezze, quelle insicurezze che sono poi il vissuto più comune di numerosi adolescenti oggi, solitari e dispersi tra i social media, resi ancor più provati da una pandemia divisiva.
Nello specifico, il film ci presenta il momento in cui Evan è chiamato a uscire dalla sua comfort zone, aprendosi agli altri, assecondando una “bugia bianca”: si finge infatti amico di un altro giovane problematico della scuola, Connor (Colton Ryan), che per troppa fragilità è arrivato a togliersi la vita. Evan decide di confortare la famiglia del ragazzo, regalando loro un ritratto luminoso e inaspettato del giovane, seppur a lui ignoto. Inventa pertanto la storia di un’amicizia solidale, nel segno della tenerezza, per lenire le cicatrici di genitori e compagni di scuola lacerati da un gesto incomprensibile. Ma le bugie non sono mai un bene, anche se nascono con le migliori intenzioni, e alla fine la verità fa il suo corso.Tema complesso e spinoso quello messo in campo dal film “Dear Evan Hansen”, la fragilità adolescenziale e il dialogo disperso in famiglia come pure tra i banchi;la regia di Chbosky lo governa in maniera acuta e responsabile, declinandolo anche in chiave più lieve grazie agli inserti musical, senza però rinunciare alla sua intensità o complessità. Risultando in alcuni passaggi forse un po’ sovraccarico e dispersivo (l’affondo sulle derive dei social media), il film comunque consegna un’istantanea credibile del nostro presente e lo fa con un linguaggio attuale, di grande presa,una vera e propria favola sociale dai contorni drammatici che vira con decisione verso un orizzonte di riscatto e riconciliazione.
Elogio infine del cast tutto, in testa Ben Platt nel ruolo di Evan Hansen, ma anche le sempre misurate Julianne Moore e Amy Adams. Inappuntabili. Dal punto di vista pastorale “Dear Evan Hansen” è consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
“Passing”
Sorprende piacevolmente l’esordio alla regia dell’attrice inglese Rebecca Hall, che dirige e firma la sceneggiatura di “Passing”, adattamento dell’omonimo romanzo di Nella Larsen del 1929. Il film, incorniciato in un elegante bianco e nero, ci conduce nella New York degli anni ’20, percorsa da un conflitto di matrice razziale. In una giornata afosa si trovano casualmente in un hotel due amiche di vecchia data, Irene (Tessa Thompson) e Clare (Ruth Negga). La prima è un’attivista per la causa della comunità afroamericana, sposata con un medico, Brian (André Holland), con due figli; la seconda finge di non essere di colore, sposata con un uomo bianco borghese (Alexander Skarsgård), dichiaratamente razzista. Tra le due donne riprende una frequentazione, non senza qualche sospetto; è soprattutto Clare a ritrovare lo slancio per riannodare i fili con le proprie radici identitarie.
“Passing” può essere definito come un raffinato mélo oscillante tra frizioni sociali e tensioni del cuore.
Tutto costruito sulla polarizzazione, ci racconta due donne diverse: l’una integrata nella comunità afroamericana, l’altra chiusa nella menzogna, a farsi passare per bianca; ancora, ci sono poi due mariti, uno premuroso e attivista per i diritti, l’altro bloccato nell’odio razziale; infine, due quartieri della città, uno borghese e l’altro periferico. Il tutto sugellato dall’opposizione cromatica del bianco e nero, come pure delle stagioni, tra l’estate iniziale e l’inverno dell’epilogo.
Rebecca Hall mette a segno un debutto alla regia di tutto rispetto, solido e ricercato, che ha trovato la giusta risonanza prima al Sundance Film Festival e ora alla Festa di Roma, preparandosi a sbarcare a breve su Netflix.“Passing” è un’opera che ci offre uno spaccato sociale, una frattura ancora viva nel cuore dell’America, come pure un ritratto introspettivo tra due donne, simili ma distanti, divise dal modo di rapportarsi con la vita e con l’accettazione di sé.
Una tensione narrativa sostenuta da due splendide attrici in parte, Tessa Thompson e Ruth Negga, così accurate a livello espressivo e interpretativo. Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e per dibattiti.