Fake news, influencer e Resurrezione
«Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”».
I versetti dall’11 al 15 del capitolo 28 del Vangelo di Matteo spiegano come i capi dei giudei hanno affrontato l’evento – traumatico anche per loro – del sepolcro vuoto. Se lo leggiamo con le categorie moderne, potremmo dire che Matteo fa il debunking di una fake news spiegandone le origini. Abbiamo le guardie che riferiscono la loro versione ai sacerdoti e agli anziani, abbiamo la versione “ufficiale” da diffondere, abbiamo uno scambio di denaro che solidifica l’accordo tra soldati, falsi testimoni, “influencer” dell’epoca e persino la promessa di tenere buono il governatore, l’autorità competente. «Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi», chiude l’evangelista. Poche righe, certo, un racconto oserei dire triviale, che impallidisce al confronto con i versetti precedenti assai più gloriosi, dedicati all’apparizione del Risorto alle donne e ai discepoli, quelli sì ripresi in lungo e largo da secoli di arte cristiana. Nella nostra società dell’informazione, dove tutto è ridotto a un dato che può essere trasmesso, rilanciato, archiviato, nascosto o modificato, questa storia di depistaggio, corruzione e occultamento ci appare tremendamente attuale, sia per le logiche di potere e di denaro dietro alla fabbricazione di realtà alternative, sia perché in fondo questi soldati spaventati e questi capi “maneggioni” ci sembra proprio di vederli, così simili a noi e alle nostre dinamiche umane. Le tecnologie digitali amplificano queste dinamiche, non le creano. La battaglia tra verità e finzione si gioca totalmente sul piano dell’umano. Anche di fronte a notizie belle che hanno cambiato la storia, come la Resurrezione.