Una cacio e pepe in sospeso. Irene e Barbara, mamma e figlia insieme contro la malattia, e la solidarietà che corre
Mamma Barbara è campionessa nel fare buon viso a cattivo gioco e – come scrive lei stessa sulla sua pagina Facebook – tende con Irene a "sdrammatizzare qualsiasi situazione non proprio favorevole".
Barbara Goldoni è la mamma di Irene, una ragazzina che la sua vita l’ha trascorsa dentro e fuori dagli ospedali. Aveva pochi anni quando le viene diagnosticato un neuroblastoma. I medici le danno il 25% di possibilità di farcela. E Irene, con il sostegno della sua famiglia e la costante presenza di mamma Barbara, ce la fa. In barba a tutte le previsioni. Ma poi ecco che sbuca fuori un brutto effetto collaterale, che costringe Irene ad anni di sofferenze, perché anche il più insignificante dei virus può ucciderla. La prospettiva è quella di un trapianto di polmoni, ma ci vogliono tempo e pazienza. E mamma Barbara è sempre lì, al suo fianco.
Lo scorso anno, come se non bastasse, arriva il coronavirus e Irene, che – seppur tra mille precauzioni – vuole vivere come fanno tutti i suoi coetanei, si ritrova chiusa in una bolla. Per evitare il contagio.
Il Covid-19 viene tenuto a debita distanza. Così non accade però per un adenovirus, che a una persona “in salute” potrebbe scatenare al massimo un raffreddore, ma che nelle scorse settimane costringe Irene ad un nuovo ricovero, che la ragazzina affronta sempre insieme a sua madre.
Quando ti trovi di fronte alla malattia, ti sembra di dover scalare una montagna e spesso non sai se avrai corda sufficiente per arrivare in cima e non hai alcuna idea se, lungo la salita, ti imbatterai in insidiosi crepacci o se le gambe e il fiato ti reggeranno. Ma sai anche che l’unico modo per dare una risposta a queste come a tante altre domande è quello di infilarsi l’imbrago e iniziare a salire. E l’imbrago di Irene e di Barbara è l’autoironia.
Mamma Barbara è campionessa nel fare buon viso a cattivo gioco e – come scrive lei stessa sulla sua pagina Facebook – tende con Irene a “sdrammatizzare qualsiasi situazione non proprio favorevole, cercando di girarla in modo da sottolinearne gli aspetti buffi e farsi anche una risata”. Perché la malattia, qualsiasi malattia, non ha alcun diritto di sottrarre nemmeno un secondo alla vita.
Avviene così che l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma diventi il #grandhotelbambingesú e il Policlinico Sant’Orsola di Bologna si trasformi nel #grandhoteldibologna.
Il post che Barbara Goldoni pubblica su Fb lunedì 12 luglio profuma di Vita in ogni sua parola.
“Qui al #grandhoteldibologna ho spesso molto tempo per pensare.
Tipo adesso che sono rinchiusa nel bagno perché mia figlia sta facendo una chiacchierata con la sua psicologa.
Adesso che ci penso potevo portarmi il the che non ho ancora fatto colazione… va beh, prossima volta.
Comunque quando ho tempo per pensare ogni tanto mi metto a parlare col Capo.
Ultimamente ci sono persone insospettabili che si sono messe a parlare col Capo e credo che a lui non dispiaccia per niente, anzi! perché, a dispetto di come hanno cercato di descriverlo negli ultimi 2000 anni circa, lui è sicuramente un tipo disponibile e aperto al dialogo. Con chiunque.
Al Capo non è che chieda dei favori particolari, gli dico solo che Irene è un po’ stufa, che sarebbe ora che cominciasse a vivere un po’ una vita normale per la sua età, che potesse finalmente sentirsi libera da tubi, tubini e tubetti. Ok, su qualche pastiglia ad orari fissi credo ci potremmo facilmente accordare, qualche esame del sangue ogni tanto, qualche lastra… ma basta tubi, basta non poter guardare un’altra puntata di pupazzi criminali perché “mamma, dopo rido troppo e mi va giù la saturazione”, basta non riuscire a cantare le hit del momento perché non esce il fiato.
Allora, io non è che sono Chiara Ferragni, ma sono sicura che se il Capo migliorasse la nostra situazione, sai che pubblicità gli farei! Voglio dire: sarebbe anche una grande occasione di marketing per l’Azienda, perché il Capo lo sa che siamo tutti un po’ San Tommaso: buoni e cari ma abbiamo bisogno di metterci il dito, toccare con mano o almeno farcelo raccontare da qualcuno che conosciamo.
E lo so che se volessimo i racconti li potremmo trovare facilmente, ma è che ultimamente siamo talmente bombardati da notizie brutte e da racconti di difficoltà, che troviamo molto faticoso andare proprio a cercare il Bello per rinfrescarci la memoria del fatto che esista sul serio.
Quindi io faccio questa proposta: un gesto solo che porti a qualcosa di veramente eclatante e do la stura a tutta la mia arte dialettica e ai miei contatti per raccontarlo in giro. Poi magari finisce che lo scrivo davvero un libro ma a modo mio, che sono pronta a metterci la mano sul fuoco che il Capo non si offende”.
Una manciata di giorni più tardi, il 18 luglio, Irene viene liberata da tubi, tubicini e tubetti. Ma questa volta non c’è quel “e vissero tutti felici e contenti” che ci si sarebbe aspettati.
Mamma Barbara nel suo post ricordava che il Bello esiste sul serio, anche nei momenti di grande dolore. E anche questa volta il Bello è arrivato, puntuale come sempre, ed ha iniziato a moltiplicarsi e a diventare virale attraverso decine di messaggi pieni d’affetto e di quei colori dell’arcobaleno, che Irene tanto amava. E si è materializzato anche in un piatto di cacio e pepe. Quello di un’osteria di Roma che coccolava la domenica Irene e la sua mamma ogni volta che erano ospiti al #grandhotelbambingesú. Dino & Tony hanno deciso che la loro “cacio e pepe” d’ora in poi sarà dedicata a Irene.
Il Bello, con la sua infinita fantasia, può far nascere un sorriso anche attraverso un piatto di cacio e pepe. A lanciare l’idea è proprio mamma Barbara. “Oggi per comunicare con Irene non abbiamo più bisogno di miseri giga – scrive su Fb -. Adesso noi abbiamo antenne e mezzi molto più potenti anche di quello che, da quel che ho capito, si è fatto lanciare nello spazio. Che poi io dico: ma tutti quei soldi che hai messo per farti catapultare per qualche minuto nello spazio, non potevi spenderli meglio? Guarda, per meglio non intendo mica solo in cure mediche per chi ne ha bisogno o sperimentazione scientifica o vaccini per chi non riesce a procurarseli, eh. Ma anche solo delle cacio e pepe da mandare in ospedale a tutti i bimbi che ne hanno la voglia, per dire, che noi ben sappiamo cosa significa una cacio e pepe recapitata a domicilio la domenica a pranzo. Cose anche semplici, banali, ma utili”.