Solidarietà senza tempo. Tre storie dagli Ambrogini d'oro

La staffetta partigiana, la squadra di calcio dei rifugiati e il riciclo virtuoso

Solidarietà senza tempo. Tre storie dagli Ambrogini d'oro

Settembre 1948. I fascisti avevano iniziato il rastrellamento degli ebrei che vivevano sul lago Maggiore. Una sessantina le persone arrestate, giustiziate a sangue freddo e i loro corpi gettati nelle acque del lago. Sandra Gilardelli ha poco più di 18 anni. È seduta insieme ad altre persone sul treno che collega Pian Nava e Verbania, quando ad un certo punto irrompono nel vagone i fascisti. “Vuotate tutte le borse e mettete tutti gli oggetti in vista”. Sandra ha con sé una busta particolare. Bianca, senza scritte e sigillata. Contiene i messaggi dei partigiani delle montagne sopra Pian Nava per i comandanti del Cnl, il Comitato nazionale di liberazione. Inconsciamente, prende in mano la busta e svuota tutto il resto. I fascisti controllano tutto, anche i documenti della ragazza, ma non si accorgono della busta. Dicono che va tutto bene e di rimettere tutto a posto. Sandra obbedisce e rimette ogni cosa nella sua borsa. Anche quella busta. Le è andata bene. Poteva finire molto peggio. Sandra lo sa, ma non riesce ad avere paura. Suo padre le aveva insegnato che se c’è la libertà un uomo è felice, se non c’è un uomo non è felice. Quando sente che i ragazzi della Resistenza cercavano la libertà da vent’anni di fascismo, non ci pensa due volte e collabora con loro, prima come assistente di Paolo, un amico medico che soccorre i feriti, poi come staffetta. Mettendo a rischio la sua stessa vita. Come quando – racconta – viene salvata dall’essere interrogata da un comandante fascista particolarmente crudele. Il soldato che salva lei e la sua amica le rivelerà di averlo fatto perché assomigliavano alle sue due sorelle, che aveva lasciato a Firenze. 

Dicembre 2024. Si alzano tutti in piedi quando nel giorno di sant’Ambrogio, Sandra Gilardelli, staffetta partigiana di 99 anni, entra al teatro Dal Verme di Milano, accompagnata dal sindaco Sala – che di lì a poco le consegna l’Ambrogino d’Oro – mentre un gruppo di persone grida “Ora e sempre Resistenza”.

Resistenza di ieri e resistenza di oggi. Per “combattere il logorio della vita moderna”, per “trovare l’unico rimedio alla disgregazione sociale, all’isolamento, all’alienazione: essere comunità”. È quanto fa il St. Ambroeus Fc, la prima squadra di richiedenti asilo e rifugiati di Milano. Nata dalla fusione di diverse squadre già presenti in città, il St. Ambroeus raccoglie l’eredità sportiva di diverse realtà che per anni hanno popolato i campi da calcio della città e dell’hinterland. Dopo le prime esperienze nei campionati Uisp e in vari tornei extra-federali, sei anni fa il grande salto, la terza categoria Figc, il calcio vero, quello che appartiene a chi lo ama. Un progetto, quello del St. Ambroeus, che coinvolge cinquecento persone, con atleti provenienti dal 20 nazioni e 4 continenti. Per lo più rifugiati e richiedenti asilo. Nella festa del suo patrono e della città che li ha adottati, i ragazzi del St. Ambroeus hanno ricevuto sabato l’Ambrogino d’oro e l’attestato di civica benemerenza “per l’attività sociale volta all’integrazione”, svolta dal 2018 quando “osò iscrivere al campionato Figc una squadra composta da invisibili”. “Questo riconoscimento – scrivono i responsabili della squadra su Fb e Ig – ci riempie di orgoglio e rappresenta l’apice di un percorso iniziato con le prime squadre, Black Panthers e Corelli Boys. È anche uno stimolo per continuare a militare con ancora più determinazione, nonostante le sfide e il contesto politico spesso complesso”.

“La nostra anima – proseguono – è milanese, ma il cuore batte per il mondo intero. Dal nome, un omaggio al patrono Sant’Ambrogio, al piccione come simbolo e ai colori bianco-rossi: ogni dettaglio parla del legame con questa città. Ma sul nostro campo nel quartiere Gorla si incontrano storie di oltre 100 atleti e atlete, provenienti da 20 Paesi e 4 continenti, 300 soci sostenitori. Siamo una realtà autogestita e autofinanziata: 4 squadre (3 maschili e 1 femminile) e centinaia di volontari che dedicano il loro tempo con passione. La nostra tifoseria, l’Armata Pirata 161, è il cuore della nostra comunità e un sostegno prezioso sugli spalti e nella gestione dell’associazione”. “Crediamo nello sport come strumento di inclusione e integrazione; il nostro campo è una “casa lontano da casa” per chi è arrivato a Milano in cerca di una nuova vita. Siamo attivamente impegnati anche nel quartiere, nelle lotte sociali e nella promozione dell’autodeterminazione del calcio femminile. Tante le storie che si intrecciano sul campo e lungo le vie del quartiere. Come quella del 24enne Hamadou Kande, arrivato per mare dal Senegal, che oltre a difendere la porta del St. Ambroeus, è insegnante volontario di calcio per i ragazzi della squadra juniores e lavora come rider. O come Issaka Coulibay, originario del Togo, morto di freddo due anni fa in un capannone abbandonato in via Corelli. Oggi, tra i vari progetti concreti per la città che la società porta avanti fuori dal campo, c’è l’emergenza freddo: giocatori e volontari organizzano ronde di aiuto per chi dorme per strada. 

E di strada con il suo furgone, in questi anni, ne ha percorsa tanta Mario Donadio, milanese di 62 anni, informatico. Durante la pandemia le lezioni si svolgevano online, ma non tutte le famiglie che non avevano un pc. Da qui l’idea: raccogliere computer usati, ricondizionarli e metterli a disposizione di bambini e ragazzi in difficoltà, così da permettere loro di seguire le lezioni a distanza. Come tutti quanti. Con l’aiuto di colleghi e volontari, di computer ne sono stati donati 1.700. “Ma c’è ancora tanto lavoro da fare – spiega Donadio – sono quasi 4.000 i pc raccolti”. Il furgone di Donadio non ha trasportato in questi anni solo pc. Ogni giorno prima di andare al lavoro, o alla sera quando finisce, si reca infatti da aziende o privati per raccogliere qualcosa da destinare ai bambini dei quartieri popolari. Principalmente libri e giochi che vengono portati ai punti di raccolta che Donadio ha creato nei caseggiati popolari con la collaborazione di Aler e Mm. Punti di raccolta, ma anche “punti di donazione”, dove vengono distribuiti libri, giocattoli, pannolini e oggetti per la casa. Un’iniziativa, questa, che ha fatto di Donadio l’anello di congiunzione tra chi dona e chi ha bisogno e che vede impegnati oggi oltre 260 volontari della rete “Qui Milano – Ricicliamo”. L’aspetto più bello di questa iniziativa è che questi punti dopo un po’ di tempo diventano “autonomi”, divenendo punti di riferimento per il quartiere. E allora è il momento di crearne un altro.

“Con Qui Milano – Ricicliamo” invitiamo a donare oggetti in buono stato – spiega Donadio – che non si utilizzano più e li sistemiamo in scaffali allestiti negli atri delle case popolari. Chi ha bisogno può prenderli liberamente. Questo toglie il senso di vergogna che tante volte si prova nel dover chiedere aiuto”. 

Sabato scorso, 7 dicembre, nel Teatro Dal Verme, Mario Donadio è stato premiato con l’Ambrogino d’oro. “E così – ha scritto Donadio sulla sua pagina Fb lo scorso 20 novembre – quando meno te lo aspetti un premio prestigioso ti bussa alla porta. In tal istante mi sono sentito tremare le gambe ed il battito del cuore ha accelerato improvvisamente. Lo avevo scritto nei giorni scorsi che per me gli Ambrogini erano le persone che quotidianamente condividono un operato di solidarietà verso il prossimo e che questo era sufficiente nel rendermi contento. Ciò nonostante, l’Ambrogino d’oro (quello vero) è giunto e ne sono comunque felice. Semplicemente perché potrò condividerlo con i tanti cuori che mi hanno ad oggi affiancato nei mei percorsi del fare volontario”. Giusto il tempo di ritirare il premio e poi via, di nuovo in strada per un nuovo progetto. Che questa volta interessa direttamente la strada. “L’idea – racconta Donadio – è quella di creare una mappa digitale del territorio, con tutte le realtà che vivono un quartiere, per raccontarlo a chiunque desideri scoprirlo. Sarebbe un sogno permettere ad un turista di non fermarsi solo in centro, ma di andare a conoscere le periferie con loro tante iniziative”.

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Fonte: Sir