Scrittura come ritorno alla vita. Narrare con la scrittura vuol dire portare alla realtà la bellezza del mondo e della propria anima

La parola scritta non è solo una prova d’esame, ma la possibilità di restituire il tempo all’azione, alla riflessione della scrittura.

Scrittura come ritorno alla vita. Narrare con la scrittura vuol dire portare alla realtà la bellezza del mondo e della propria anima

E così si ritorna all’antico: due prove scritte, una di italiano per tutti e l’altra concernente le materie di indirizzo, tra le polemiche e gli assensi. Sicuramente manca l’allenamento, due anni di sospensione dello scritto per il Covid e soprattutto una dad a macchia di leopardo che non ha permesso una continuità nell’allenamento alla scrittura distesa e aperta (non quella a riposte secche sì e no), ma sarebbe bene ricominciare. Finché siamo in tempo. Perché lo scritto degli account, veloce, irriflessivo, non è quello della creazione, della distensione della parola e di conseguenza del pensiero; sui legami reciproci tra espressione verbale, scritta e mente esiste un interessante studio di un addetto ai lavori, “Elogio della parola”, di Lamberto Maffei (Il Mulino 2018), docente emerito di Neurobiologia alla Normale di Pisa, in cui è messa bene in evidenza l’intima connessione tra parola e cervello; ma se è per questo anche lo scrittore calabrese Saverio Strati, negli anni Settanta del Novecento incoronò magistralmente in un suo romanzo, “Il selvaggio di Santa Venere”, premio Campiello 1977) la scrittura come unica vera possibilità di esprimere se stessi quando l’isolamento e la violenza, anche quella di un maestro incapace e violento, farebbero di noi degli emarginati. Uno dei protagonisti del racconto, Leo, è isolato come contadino e pseudo-analfabeta dai suoi coetanei. Vive quasi sempre nella campagna paterna e non è indifferente alla bellezza della natura calabra che vede intorno a sé. Un giorno, salendo su di un albero e guardando incantato ancora una volta distese in fiore e animali al pascolo si rende conto che solo con la scrittura “tutto ciò che leggi o scrivi viene capito da tutti coloro che sanno leggere e scrivere”. Leo capisce che scrivere avvicina gli altri, te li fa sentire lì a due passi, quando l’ignoranza e la violenza ci impediscono il contatto diretto della parola. Se sei un isolato, afferma il personaggio di Strati, c’è ancora una possibilità di comunicazione: la lettera, il biglietto, il foglio, la sabbia, il muro. Lo stesso atto di scrivere ritorna da dove è partito, dalla mente, in un movimento plastico che sviluppa mediatori chimici e neurormoni.

Leggere esiste perché c’è qualcosa di scritto, una testimonianza, una traccia, e allora noi ci rendiamo conto di non essere soli nel riconoscerci in alcune riflessioni o esperienze che pensavamo fossero solo nostre deformazioni ancor più isolanti. Scrivere vuol dire trasformare la realtà stessa, un po’ come il quadro di un artista che non deve rappresentare la cosa stessa così come essa è, – sarebbe una foto -, ma come essa è vissuta e ricreata dal faber-pittore.

Ed è così che l’oggetto è trasformato dalla parola scritta, come accade nelle epifanie – le rivelazioni – degli oggetti attraverso il correlativo oggettivo di Eliot, il cui “Ulisse” in questi giorni compie cento anni.

I ragazzi devono tornare ad aspettare: attendere che il pensiero si distenda e diventi immagine e scrittura, senza eccessiva fretta. La parola scritta non è solo una prova d’esame, ma la possibilità di restituire il tempo all’azione, alla riflessione della scrittura che apre se stessi agli altri ma è in grado di arricchire di nuovi contenuti lo stesso scrivente. Narrare con la scrittura vuol dire portare alla realtà la bellezza del mondo e della propria anima, che altrimenti resterebbero chiusi nella prigione della solitudine e del ritorno ad attività esclusivamente meccaniche e primitive della mente, a causa dell’atrofia dei centri cerebrali che hanno bisogno della creatività e dell’espressione.

Il ritorno alla scrittura potrebbe essere l’inizio di un nuovo cammino verso la riappropriazione degli spazi della creazione, e non dell’imitazione compulsiva e priva di senso. Soprattutto dopo il grande silenzio e l’isolamento della pandemia.

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Fonte: Sir