Quando il passato insegna. E aiuta. Il cammino penitenziale può aiutarci a capire come gli scrittori hanno affrontato i disastri della Storia
Gli scrittori ci hanno anche suggerito, fin dal Medioevo del Poverello di Assisi, i rimedi.
Tucidide era uno che prima ancora della Storia conosceva gli uomini: aveva comandato l’esercito ateniese in una sfortunata spedizione, ed era stato mandato al “confino” per parecchi anni. Lontano dai dibattiti politici e dalla conduzione bellica, ebbe tempo di scrivere l’opera per cui è rimasto nella storia – e su banchi degli studenti del classico, un vero incubo per loro -: la Guerra del Peloponneso. Tristemente famose le pagine dedicate alla terribile epidemia che sconvolse per tre lunghi anni la sua città a partire dal 430 a. C. e che secondo alcuni sterminò più della metà della popolazione. Se qualcuno fosse convinto che la visione laica, per non dire materialistica, della storia è iniziata dal rinascimento in poi, qui capirebbe quanto è lontano dalla realtà: già allora l’autore vedeva solo effetti, ma non cause originarie, per non parlare di punizioni divine. No, qui ci sono solo fatti, e terribili: gente che muore per strada abbandonata da tutti e mancanza di rimedi precisi. Con in più i sinistri sviluppi sociali che furono notati anche da scrittori di epoche diverse e che descrissero le pandemie dei loro tempi: la Milano della peste scoppiata a partire dal 1629, e il disordine sociale che ne scaturì, descritta nei Promessi sposi da Manzoni, e, ancora prima, la Firenze del 1348, sconvolta, ancora una volta anche socialmente, da una pestilenza che decimò tutta Europa. Ma se è per questo, più di seicento anni dopo, anche Albert Camus descrisse in un suo celebre romanzo del 1947, intitolato proprio La peste, il disordine, la sofferenza e il senso di accerchiamento di una città nordafricana, Orano, durante un’altra epidemia. Che però non era sanitaria, perché sotto quella allegoria lo scrittore voleva alludere anche alla peste del nazismo che aveva assediato l’Europa – e non solo – in lunghi interminabili anni.
Solo sofferenza e disastri? No, e ancora una volta i sostenitori del cammino inevitabile verso una società senza più valori, rispetto ad un passato colmo di quei valori, dovranno ricredersi: la loro prospettiva si rovescia nella descrizione delle pandemie storiche: ciò che avrebbe dovuto essere interpretato come castigo divino, la peste di Atene del quinto secolo prima della nostra era, è impassibilmente descritto e “esentato” da interventi celesti, mentre quello che è considerato il padre di una letteratura erotica e laica, fa di una chiesa, quella di Santa Maria Novella a Firenze il luogo dell’incontro e del progetto di ordine che avverrà grazie alla cura della parola.
E, se possiamo vedere nella descrizione della peste anche l’amore gratuito e lo spirito di sacrificio di sé, da parte di religiosi e non, nei Promessi sposi di uno scrittore dichiaratamente cattolico (e che però aveva conosciuto la notte del vizio e della immoralità), dovremo notare come nel laicissimo Camus, esponente di punta dell’esistenzialismo francese, la solidarietà sia l’unica possibilità di uccidere il drago di una duplice malattia, quella fisica (Camus era malato di tubercolosi) e quella dell’oblio della pietas. Anche padre Paneloux, pur essendo convinto che la peste sia una punizione divina, presta la sua opera di aiuto ai sofferenti, memoria di quei cristiani che lo scrittore aveva incontrato nella resistenza. Ma un altro elemento del laico Camus ci deve interessare pragmaticamente: il suo invito non solo a stare vicino a chi soffre ma anche a fare attenzione a che quell’incubo non torni, perché sta a noi far sì che una natura violentata non diventi minacciosa verso l’uomo: “il bacillo della peste può restare per decine d’anni addormentato”.
Guarda caso, quello che afferma non un romanzo, ma il documentatissimo saggio di David Quammen, Spillover, edito poco prima del Covid 19 e che aveva messo in guardia contro la violenza gratuita verso animali e piante. Se consideriamo quanto il Cantico delle Creature del Poverello, e un’enciclica che lo riprende fin dal titolo, Laudato si’, di un Papa che ha scelto proprio il nome di Francesco, abbiano messo in guardia l’uomo dalla aggressione immotivata alla grande madre, allora possiamo vedere quanto la fede significhi anche attiva operatività per il rispetto della casa comune. Ed è proprio il cammino penitenziale che dovrebbe spingerci a capire quanto il nostro comportamento oggi significhi autocritica e progetto di dare una mano, nel nostro piccolo, affinché il male sia fattivamente sconfitto.