Oltre il culto dell’immagine. La ricerca della vera bellezza nel cammino del pensiero umano. E nel libro di un grecista
L'ideale di bellezza e l'idea di bellezza: quale seduzione?
“In Aschenbach e nella soggettività che egli rappresenta, emerge una sordità, o forse meglio un oblio della grammatica del sacro e dell’esperienza. Una perdita, tutta moderna, delle antiche tecniche dell’immaginazione e dell’estasi”.
L’Aschenbach di cui sta parlando qui Davide Susanetti, docente di Letteratura greca all’Università di Padova, è il protagonista di La morte a Venezia, racconto di Thomas Mann uscito nel 1912: uno scrittore affermato si reca a Venezia, dove incontra l’incarnazione del suo ideale di bellezza, un ragazzo che diverrà la sua ossessione fino alla fine. Susanetti pone la sua riflessione, al negativo, su questa ossessione estetizzante alla fine del percorso di Il talismano di Fedro (Carocci, 150 pagine, 15 euro), iniziato con Socrate e con il poeta persiano (siamo tra il XII e il XIII secolo della nostra era) Farîd ad-Dîn ‘Attăr. Un dialogo platonico, Fedro, porta il discorso sulla bellezza. Essa è un rispecchiamento del divino cui nostalgicamente l’anima umana tende dopo aver contemplato per un attimo il mondo delle Idee. Lentamente il “disincanto della razionalità moderna, calcolante e quantitativa”, scrive lo studioso, ha dimenticato quei segni del sacro che ci servirebbero per passare attraverso una bellezza non fine a se stessa, ma segno di qualcosa che non è solo materia. La morte a Venezia di Mann è la storia di un perdersi dietro un falso idolo, di un assolutizzare qualcosa che dovrebbe portarci verso l’essenza e l’Essere.
Un po’ quello che accade in uno dei manifesti – anche qui al negativo – del cosiddetto estetismo, siamo nel 1891, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. L’abitudine alla lode e ai complimenti per la propria bellezza diventa una ossessione demoniaca, fino a ottenere che il proprio ritratto, nascosto in soffitta, invecchi al posto suo e rechi l’orrore dei suoi peccati. Lo stesso autore del quadro è inorridito, anche se proclama, suo malgrado, la medesima verità unicamente estetica dell’Aschenbach di La morte a Venezia: “Tu rappresentavi per me un ideale che non troverò mai più” non senza però gridare sconvolto che quel quadro però rappresenta “la faccia di un satiro”. Non si tratta solo di magia demoniaca, ma di una comparazione quanto mai giusta: una bellezza fine a se stessa, al di là del bene e del male, somiglia paradossalmente al ghigno del satiro, colui che è condannato all’ infelicità ripetitiva dell’inesausto desiderio sessuale.
Che non è la felicità, come non è luce, ma unicamente “pace”, l’unione eterna e malinconica che alla fine premia lo scrittore perseguitato dalla censura e la donna da lui amata in Il maestro e Margherita di Bulgakov, iniziato a scrivere alla fine degli anni Venti del Novecento nella Russia dei Soviet. Come accade anche alla inquietante protagonista di un romanzo di Massimo Bontempelli, uno degli scrittori più importanti della nostra prima metà del Novecento, Vita e morte di Adria e dei suoi figli, dominata dall’ossessione, che si rivelerà mortale, del tempo e della conservazione della propria bellezza.
Una bellezza che non è solo quella del corpo, ma della tentazione dell’attimo perfetto nel nostro qui, come accade al Faust di Goethe che si arrenderebbe a Mefistofele solo se “dovessi dire all’attimo: – Ma rimani! Sei così bello! -”. Anche qui ricerca spasmodica del possesso di qualcosa che invece è cammino verso ciò che non è perfetto nella realtà materiale.
Come non essere d’accordo allora con chi ha sottolineato la grande bellezza di santa Teresa di Calcutta, fatta di sorriso e servizio a chi non può dare nulla in cambio, e di tutti coloro che hanno camminato verso quella bellezza che è il Creato, divenendone parte integrante? È questa la bellezza che seduce milioni di persone. Anche perché il Cantico dell’umile santo d’Assisi è indicato da tutti, credenti, laici, atei, come uno dei canoni della Bellezza. Non solo amore dei corpi.