Le “nostre badanti” dal teatro al fumetto. In libreria “Sindrome Italia”

Il testo è di Tiziana Francesca Vaccaro, i disegni di Elena Mistrello: edito da BeccoGiallo, il libro racconta la storia di Vasilica, che è quella di tante donne che, dai paesi dell'Est Europa, vengono in Italia come “badanti” dei nostri anziani. Chi sono? Cosa hanno lasciato a casa? Come vedono il futuro? E perché si “ammalano”?

Le “nostre badanti” dal teatro al fumetto. In libreria “Sindrome Italia”

"Chi sono queste donne che arrivano dalla Romania, dalla Polonia, dall’Ucraina, dalla Moldavia, cioè chi sono prima di essere badanti? Chi sono state? Cosa hanno lasciato a casa? Cosa immaginano per il futuro?”: se lo è domandato tante volte Tiziana Francesaca Vaccaro, autrice e attrice teatrale, sempre alla ricerca di storie da mettere in scena. Da lì sono inziati gli incontri da un lato, la ricerca dall'altro: ne è uscita una storia che è tante storie, divenuta testo teatrale prima, graphic novel adesso. Esce oggi in libreria, edito da BeccoGiallo, “Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti”, che ripropone con i fumetti quelle storie che dovevano andare in scena, a marzo del 2019, ma che la pandemia ha tenuto finora dietro il sipario, se non per alcune “prove aperte”.
L'idea nasce dall'incontro e dall'osservazione delle sue “vicine di casa – racconta Vaccaro nella postfazione - Sono donne ucraine, abitano tutte insieme nell’appartamento accanto al mio. Cinque in 50 metri quadrati. Al quinto piano, senza ascensore. Un sali e scendi faticoso per chi ha lavorato 24 ore senza fermarsi”. Eccolo lì, allora, lo spunto che cercava per un nuovo lavoro: “Cerco storie che possano ispirarmi, emozionarmi, squarciarmi. Mi fa male la pancia ogni volta che una di queste donne mi parla con gli occhi bassi, lucidi, scavati dalla stanchezza. È come se qualcuno me la spremesse e poi infilasse degli spilli, uno alla volta, fino ad arrivare al cuore, che batte più forte. Sono donne che abbandonano la propria famiglia per occuparsi della famiglia di qualcun altro”.

Sono tante, tantissime, un vero universo, variegato ma accomunato da una storia e da una nostalgia che le fa simili: “In Italia sono 1, 7 milioni le donne migranti: filippine, sudamericane, ucraine, polacche, moldave, rumene – riferisce ancora Vaccaro nella postfazione - Grazie al passaparola tra connazionali sono incoraggiate a partire. Spesso scelgono di andarsene di notte, mettendo a letto i figli come tutte le sere, e poi loro si sentono dire al mattino: 'La mamma non c’è stamattina, è partita, qualche settimana e poi torna'. Le donne intanto arrivano in Italia, sole. Trovano presto lavoro e convivono con l’anziano fino a quando muore. E tutto ricomincia, nella solitudine e troppo spesso nel dolore”.

Quella sofferenza ha un nome, quasi una diagnosi, che dà il titolo al libro: “La Sindrome Italia è l’espressione del linguaggio della sofferenza che vivono donne migranti collocate in posizioni di forte marginalità sociale – spiega Vaccaro - Utilizzare quest’espressione, che fa direttamente riferimento a un’ingente sofferenza psicologica, significa che queste migranti dell’Est Europa sono effettivamente colpite e afflitte da una condizione psicofisica che non trova eguali nel passato. Una sofferenza che matura – più o meno latente – in Italia, nel paese dove si va, ma esplode nel luogo in cui si ritorna, a 'casa propria'. Il mio lavoro di ricerca viaggia su due binari paralleli: la raccolta del materiale medico-scientifico da un lato, e di interviste, testimonianze, storie dall’altro”.

A fare da “ponte” tra Vaccaro e queste donne c'è Silvia Dumitrache, attivista per i diritti delle donne romene in Italia. E' grazie a lei che “conosco Ludmila, Veneta, Stella, e altre ancora, tutte badanti e colf, in Italia da anni. Ansia, paranoia, depressione. E bipolarismo, schizofrenia, tendenze suicide. Questi alcuni dei sintomi che le accomunano, legati alla Sindrome Italia. Alcune – confidano – non sanno neanche cosa sia, ma a volte stanno male e non capiscono perché. D’altronde qui in Italia non hanno tempo (e fiducia) per andare dal dottore, e lì, a casa loro, in Romania, il costo dei servizi socio-sanitari è troppo alto e non esiste alcun tipo di sostegno economico alle migranti che hanno dovuto lasciare il proprio paese”.

Vasilica, un viaggio di andata, ritorno e ritorno

Poi Dumitrache ha un'idea, quella che farà nascere lo spettacolo prima, il libro poi: “Conosco una donna che è tornata – dice a Vaccaro - Lei ha fatto il percorso completo, e quando ha capito che c’era qualcosa che non andava, che lì, proprio a casa sua, si stava consumando, ha deciso di partire ancora”. E' Vasilica, la protagonista della storia raccontata a teatro e a fumetti: con lei Vaccaro “inizia un vero e proprio scambio di racconti, ricordi, vita, lungo un anno. Non riusciamo mai a vederci dal vivo – precisa l'autrice - siamo troppo lontane. Ci serviamo di Skype, strumento che tante donne come lei conoscono bene, perché è l’unico che ha permesso loro di 'vedere' i figli durante gli anni in Italia”. Mentre cuce i pezzi della storia di Vasilica, Vaccaro raccoglie altri pezzi, tutti importanti e preziosi per ricostruire l'universo delle “nostre badanti”: lo fa attraverso i lavoratori teatrali con donne italiane e migranti in alcune città d'Italia: “Gli incontri diventano parte dell’indagine e della raccolta di fonti ai fini della stesura dei testi dello spettacolo prima, e del fumetto dopo – racconta - I laboratori creano in tal senso spazi e momenti di incontro capaci di produrre socialità e senso di appartenenza alla comunità e al progetto. Attraverso una serie di giochi di relazione volti a costruire empatia, propongo alle partecipanti di raccontare la propria storia, o anche solo di regalare un gesto, una frase, un pensiero sul tema Sindrome Italia. Sono diverse le testimonianze di donne provenienti da vari paesi, per lo più dell’Est, che vivono o hanno vissuto in Italia come 'assistenti familiari' – così oggi preferiscono essere chiamate – e 'lavoratrici domestiche', spesso isolate dal contesto intorno a loro, viste solo attraverso il lavoro che è loro affidato. Ma molti sono anche gli sfoghi, le esperienze delle donne italiane che, loro malgrado, hanno bisogno di queste donne, accogliendole in casa come 'badanti' del padre o della madre”. Il teatro diventa cosi “mezzo espressivo per abbattere la barriera tra un noi e un loro”, spiega.

Un atto di denuncia? “No. Ma un atto politico sì - risponde Vaccaro – perché la mia scrittura parte sempre dal desiderio di raccontare storie invisibili. Siamo abituati a vedere la badante della mamma o della nonna solo in funzione del lavoro che fa, ma non ci poniamo il problema di chi sia, al di fuori del suo lavoro. Io spero che, portando alla luce queste storie e queste sofferenze, possa cambiare la nostra relazione con queste donne, che incontriamo all'interno di un circuito di bisogni estremi: il loro bisogno di lavorare, il nostro bisogno di cura e sostegno per i nostri cari”.

Con la pandemia, “il vaso di Pandora si è scoperchiato, portando alla luce questi bisogni – conclude Vaccaro – ed estremizzandoli. Così abbiamo visto badanti 'imprigionate' nelle case dei nostri anziani e badanti invece licenziate, dalle famiglie che avevano paura di possibili contagi. Nel circuito dei bisogni estremi, l'incontro può diventare conflitto. Spero che, conoscendo meglio le storie di queste donne, sia possibile trasformare la conflittualità in comprensione ed empatia. In una parola, in rispetto dei diritti e dell'umanità delle nostre badanti”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Sir