La polvere che viene dallo spazio. Cosa ci dicono i meteoriti che cadono sulla Terra
Oltre il 60% della polvere cosmica proviene probabilmente dalla famiglia di comete di Giove, guidate dall’influenza gravitazionale del pianeta gigante in periodi orbitali inferiori ai vent'anni, mentre un altro 20% circa proverrebbe dalla fascia principale degli asteroidi
“Gocce di pioggia su di me”, la traduzione del titolo (titolo orig. “Raindrops Keep Fallin’ on My Head”) di un famosissimo brano scritto nel 1969 dal grande Burt Bacharach. Ma la pioggia, assicura la scienza, non è l’unica cosa che… dal cielo… finisce sulle nostre teste!
Sulla superficie della Terra, infatti, precipita continuamente anche polvere proveniente dallo spazio, una sorta di “pioggia celeste” che non ha mai smesso di scendere sul nostro pianeta fin dalla sua origine, miliardi di anni fa. Tutti abbiamo ben presenti le manifestazioni più evidenti di questo fenomeno, ovvero quei frammenti consistenti di roccia e metallo che, attraversando infuocate lo strato superiore dell’atmosfera, prendono l’aspetto di stelle cadenti luminose e, a volte, raggiungono il suolo terrestre sotto forma di meteoriti. Di solito, però, il materiale che finisce sulla Terra ha dimensioni molto più ridotte, al di sotto del millimetro (micrometeoriti).
Naturalmente, uno dei quesiti per gli studiosi del settore è riuscire a stimare anzitutto la quantità di micrometeoriti che finisce sulla Terra, operazione certamente non facile su un pianeta già costantemente avvolto dal turbine della propria polvere.
Di recente, una ricerca (pubblicata su “Earth and Planetary Science Letters”) condotta da un gruppo internazionale di studiosi, coordinati da J. Duprat, cosmochimico della Università Paris-Saclay (Orsay, Francia), si è cimentata nella misura dei micrometeoriti accumulati nelle nevi incontaminate dell’Antartide, fornendo al tempo stesso la stima finora più attendibile dei detriti extraterrestri in arrivo. Risultato? In base ai dati raccolti ed elaborati, si è calcolato che sulla Terra, ogni anno, precipitano circa 5200 (con un range statistico tra 4000 e 6700) tonnellate di micrometeoriti!
Ma quali sono le zone geografiche più adatte ad effettuare questo tipo di rilevazioni? Sicuramente, regioni polari come Groenlandia e Antartide, ricoperte dai ghiacci tutto l’anno, sono punti privilegiati per la ricerca sui micrometeoriti, in ragione del loro isolamento geografico e della loro staticità. Inoltre, sono davvero pochi i materiali terrestri che raggiungono queste zone remote “inquinandone” la scena. Di conseguenza, il ghiaccio continentale, praticamente immutabile, è in grado di assorbire la polvere spaziale con un numero molto esiguo di contaminazioni. Il ghiaccio permanente, inoltre, fornisce ai ricercatori il modo per assegnare un’età ai detriti, basandosi sugli strati nevosi annuali. Anche se entrambi i poli sarebbero adatti a questo genere di ricerche, Duprat afferma di preferire i ghiacci meridionali: “Il Polo Sud è di gran lunga migliore, perché è circondato da oceani, completamente isolato da altri continenti”. Non a caso, dunque, durante tre stagioni sul campo, Duprat e i suoi colleghi hanno visitato più volte la stazione franco-italiana Concordia, situata in una regione antartica – chiamata “Dome C” – per raccogliere micrometeoriti.
Dome C, infatti, situata a 1100 chilometri nell’entroterra del continente e a oltre tre chilometri sopra il livello del mare, rappresenta un sito perfetto per la raccolta di polvere cosmica. In particolare, gli studiosi hanno cominciato ad analizzare i detriti depositati prima del 1995 (per evitare eventuali contaminazioni umane dovute ai lavori per la costruzione della stazione Concordia, cominciati nel 1996), per poi riesumare strati più profondi e antichi. In effetti, durante gli anni di ricerca, Duprat si è accorto che anche i ricercatori importavano inavvertitamente sul sito quantità piccole ma significative di polvere terrestre, finendo per contaminare i campioni. Un problema prontamente risolto rettificando i metodi di raccolta e gestione: ogni campione di neve è stato sigillato in un cilindro di polietilene e trasportato in una stanza incontaminata per essere fuso e filtrato. Dopo aver filtrato la polvere dalla neve, i ricercatori si sono avvalsi di microscopia elettronica, spettroscopia a raggi X e altre tecniche per analizzare oltre 2000 particelle di dimensioni comprese tra i 12 e i 700 micrometri. I vari metodi analitici applicati hanno così permesso al gruppo non solo di identificare la polvere cosmica, ma anche di risalire all’origine più probabile di ciascuna particella extraterrestre.
In questo modo, si è potuto accertare che oltre il 60% della polvere cosmica proviene probabilmente dalla famiglia di comete di Giove, guidate dall’influenza gravitazionale del pianeta gigante in periodi orbitali inferiori ai vent’anni, mentre un altro 20% circa proverrebbe dalla fascia principale degli asteroidi.
“Meteoriti e polvere cosmica – spiega Marc Fries, planetologo non coinvolto nello studio e curatore per conto della NASA delle Cosmic Dust Collections – sono una sorta di copia campione degli astromateriali”. A suo parere, inoltre, i composti organici contenuti nella polvere cosmica potrebbero essere stati di importanza cruciale per l’origine della vita sulla Terra. “I precipitati di polvere spaziale – aggiunge Fries – probabilmente aggiunsero un notevole contingente alle sostanze volatili già presenti sulla superficie terrestre. Capire appieno la composizione di queste particelle equivale ad avere un’istantanea della composizione del sistema solare interno, soprattutto dei corpi minori”.