La pandemia nelle comunità per minori, il 56% si è sentito protetto

Lo studio di Coordinamento nazionale delle comunità per minori e Istituto degli innocenti che ha coinvolto oltre 200 strutture  in Italia. I ragazzi hanno apprezzato la comunicazione e la condivisione delle esperienze e i nuovi social, meno convivenza forzata,  Dad e la mancanza di contatto fisico. Il presidente Gianni Fulvi: "Istituzioni assenti, ecco cosa non è andato bene"

La pandemia nelle comunità per minori, il 56% si è sentito protetto

"E' andato tutto bene?". E' questo l'interrogativo da cui prende le mosse la ricerca sulla gestione del Covid-19 nelle comunità per ragazzi e bambini, a cui ha lavorato il Coordinamento nazionale delle comunità per minori (Cncm), insieme all'Istituto degli innocenti. Un'indagine, realizzata da Marzia Saglietti, professoressa dell'Università di Bologna, che ha coinvolto oltre 200 comunità per minori in Italia. La risposta alla domanda, che è anche il titolo del webinar con cui è stata presentata la ricerca, la danno gli stessi ragazzi che hanno partecipato all'indagine: il 56% di loro, durante il lockdown, si è sentito protetto e rassicurato dagli operatori delle strutture in cui erano ospiti. Non è però andata bene dal punto di vista delle indicazioni e del ruolo delle istituzioni, che hanno fatto mancare linee guida e indicazioni che ancora oggi costringono molti minori a restare chiusi nelle comunità dove risiedono, mentre i loro coetanei possono uscire.

Ecco nel dettaglio le modalità e gli elementi emersi dall'indagine condotta dalla ricercatrice Saglietti: "L'idea della ricerca nasce dal dubbio sulla gestione delle comunità nella pandemia, il lockdown e le fasi successive. Nell'indagine c'è il confronto tra ragazzi, operatori e responsabili delle strutture, con un focus anche sulle comunità che ospitano genitore e bambino". La domanda che ha guidato il lavoro è stata: 'Come ha reagito questo mondo complesso, complicato ed eterogeneo?'. Il lavoro di Saglietti ha messo a confronto le prospettive di ragazze e ragazzi, operatori e responsabili all'interno delle strutture, concentrandosi sulle prospettive dei ragazzi e analizzando anche le comunità che ospitano bambino-genitore.
"L'emergenza- spiega Saglietti- ha impattato sui bambini a diversi livelli: individuale, familiare, comunitario e sociale. Nelle comunità sono state sospese le uscite, la presenza dei familiari in sede e la frequenza scolastica, e tutto questo ha dovuto fare i conti con una povertà digitale di alcune strutture. E' stata anche interrotta la frequentazione di tutte le altre piccole comunità di famiglie amiche, volontari, che normalmente frequentavano le strutture residenziali per minori", fa sapere la professoressa.

Saglietti poi ricorda che le comunità per minori in Italia hanno chiuso i battenti molto meno rispetto al resto d'Europa, sebbene esista "solo un paper irlandese che ha affrontato i tre aspetti indagati anche nella nostra ricerca: prospettive ragazzi, operatori e responsabili. In Italia, infatti, sono state le singole comunità a raccontarsi ma dal punto di vista della riflessione scientifica non c'è uno studio organico e la nostra speranza, con la ricerca che abbiamo prodotto, è che il nostro lavoro possa contribuire a una disseminazione scientifica più ampia".
La ricerca si basa sulla somministrazione di questionari, elaborati con il comitato gestione del Cncm, su base volontaria ed in anonimo, e con la possibilità di compilare il questionario con il supporto degli operatori. Lo studio consente anche di mettere a fuoco chi sono gli operatori e come sono distribuiti nel territorio: professionisti con esperienza annuale e responsabili delle strutture che sono per lo più donne. Ai questionari inviati su tutto il territorio nazionale, hanno risposto tutte le Regioni, con l'eccezione della PA di Bolzano.

Dallo studio emerge che i ragazzi hanno apprezzato la comunicazione e la condivisione delle esperienze e i nuovi social, meno la convivenza forzata, le restrizioni, la Dad e la mancanza di contatto fisico. Anche per gli educatori l'aspetto più rilevante è stata la comunicazione con i ragazzi e altrettanto per i responsabili delle strutture, che hanno evidenziato quanto sia importante lavorare sull'aspetto comunicativo delle attività, così come le attività manuali da fare insieme. A dire che non è andato tutto bene sono stati anche gli operatori nell'indagine, che denunciano come non si sia data priorità nei vaccini a chi lavora nelle comunità, sia nel rapporto con le istituzioni, come denuncia Gianni Fulvi, presidente del Cncm: "Ho sollecitato ad aprire la consulta anche ai minori fuori famiglia. Le istituzioni, durante la prima fase della pandemia, sono state molto assenti. Sulla base di questa considerazione abbiamo deciso di avviare la ricerca e la rilevazione sulle strutture che accolgono bambini con genitori, sulle quali poco si sta dicendo e invece si dovrebbe dire".

Gli fa eco Andrea Marangoni, presidente del Coordinamento regionale delle comunità educative: "La comunità ha resistito alle modalità della famiglia tradizionale, si è adattata al disagio sia dei bambini accolti che delle condizioni di contesto, dovute all'emergenza. Però dobbiamo ricordare che ci sono dei ragazzi che nessuno vuole: non li vogliono né le istituzioni né le famiglie, e le comunità stanno dimostrando di saper proteggere l'infanzia. La ricerca- spiega ancora Marangoni- ci aiuta nel formulare alcune linee guida su cui lavorare per sviluppare meglio le nostre comunità. Partiamo da alcuni punti critici utili: comunità e Covid, ovvero il rapporto tra le strutture sociali e il Covid, le quali spesso sono state trattate in modo diverso rispetto a quello che sono. I dispositivi di protezione e i vaccini, tanti operatori ancora non sono stati vaccinati, evidenziando difformità tra diverse Regioni. La ricerca su questo ci dice che le strutture di comunità e il più vasto insieme di strutture è riuscita a riorganizzarsi, pure se resta il dato che i minori non sono stati adeguatamente considerati dalle istituzioni. Chi aveva il cane poteva andare fuori durante il primo lockdown, i ragazzi con fragilità o in comunità non potevano fare nulla". Marangoni ricorda che l'impatto sui minori dell'isolamento è oltre gli esiti che già si intravedono ora: "Potrà portare a nuove difficoltà sociali di questi ragazzi e su questo bisogna lavorare".

Infine, il terzo elemento da considerare, chiosa Marangoni, "sollecitare la politica e le istituzioni a partecipare e a confrontarsi con il territorio. Il PNRR attiverà delle risorse nell'ambito degli asili, la scuola primaria dell'infanzia, ma c'è un dato rilevante con cui dobbiamo fare i conti nel lavorare sui progetti del PNRR: l'Italia, infatti, ha la percentuale di allontanamenti più bassa d'Europa. Questo può indicarci che i minori stiano subendo abusi e maltrattamenti e non ci sono interventi dalla rete istituzionale abbastanza efficaci ad individuarli. Il lavoro che ci attende non è solo dentro le comunità, ma anche fuori". (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)