Investire sull’educazione emotiva per sconfiggere il bullismo. Oltre al contrasto, serve la prevenzione
Il bullo è essenzialmente un “analfabeta emotivo” e quindi, più che punito, va “rieducato” anche sanando quei “bachi” sociali che incidono ben oltre il disagio del singolo.
Alcune recenti sentenze della magistratura richiamano nuovamente l’attenzione sul fenomeno del bullismo in ambito scolastico e sulle responsabilità correlate di adulti e istituzioni.
Le disposizioni di legge, in particolare la legge 71 del 2017, hanno stabilito disposizioni molto precise in margine a questo problema ormai piuttosto diffuso. La questione chiede linee di intervento nelle scuole, formazione del personale, attività educative rivolte ai minori e la designazione di un docente referente in materia. I dirigenti scolastici, inoltre, sono chiamati ad attivarsi tempestivamente e a intraprendere adeguate azioni soprattutto di carattere educativo.
Su quest’ultimo punto vale soprattutto la pena soffermarsi, perché l’interpretazione generale della normativa si sofferma prevalentemente sull’aspetto sanzionatorio della legge. La reazione dell’opinione pubblica nei confronti di episodi particolarmente gravi è naturalmente orientata a punire, ma in questo modo si tende sempre a considerare soltanto la parte terminale di un fenomeno complesso e articolato.
La verità è che bisognerebbe adoperarsi di più nel campo della prevenzione, oltre che del contrasto del bullismo, e gli interventi dovrebbero essere messi in campo ad ampio spettro, quindi riguardare anche famiglia ed enti locali. Insomma, non risolveremo il bullismo e il cyberbullismo punendo i bulli. Vanno indagate le cause profonde di un comportamento deviato che riguarda la sfera relazionale ed emotiva dei nostri ragazzi.
Da qualche anno si parla del ruolo dell’intelligenza emotiva nei processi di apprendimento e di come essa governi i comportamenti dei singoli, ma anche dei gruppi all’interno delle aule scolastiche. La scuola e i docenti conservano ancora un approccio troppo cognitivo e, spesso, anche valutativo nell’insegnamento. Occorre, invece, spendere energie e investire sull’educazione emotiva dei nostri figli e insegnare loro a gestire i propri e gli altrui conflitti.
L’intelligenza emotiva è alla base dello sviluppo delle cosiddette life skills, abilità sociali e relazionali, che consentono un sereno inserimento all’interno del gruppo classe e, di conseguenza, rendono proficuo anche il processo di apprendimento e di assimilazione dei contenuti disciplinari.
Avere consapevolezza delle proprie emozioni significa “autoidentificarsi” correttamente e sapere indirizzare, gestire e controllare le proprie azioni raggiungendo buoni risultati. Chi conosce se stesso ed è “alfabetizzato” emotivamente comprende più facilmente l’altro e sviluppa la capacità di empatizzare con esso.
Il bullo è essenzialmente un “analfabeta emotivo” e quindi, più che punito, va “rieducato”: mai dobbiamo dimenticare che la scuola prima di ogni altra cosa è una agenzia educativa e come tale ha il preciso dovere di pianificare i propri interventi. Anche perché “rieducare” il bullo significa sanare quei “bachi” sociali che poi determineranno situazioni destinate a una deriva che va ben oltre il disagio del singolo.
Il sottofondo del disagio è la violenza. In genere, il bullo, ma anche la vittima, sono ruoli dove gioca un forte peso lo stile educativo della famiglia di appartenenza. In particolare è forte la correlazione tra il mettere in atto una condotta da bullo a scuola, e l’aver sperimentato in famiglia situazioni di maltrattamento fisico e psicologico.
Un buon piano di interventi, finalizzati alla maturazione della consapevolezza del proprio intimo sentire e all’acquisizione di una certa competenza emotiva, diventa un ottimo scudo nella prevenzione del bullismo, sia per i bulli che per le potenziali vittime. L’ideale sarebbe coinvolgere nei percorsi anche le famiglie, perché se i ragazzi hanno certe difficoltà esse sono riscontrabili senz’altro anche in seno al nucleo familiare. Non ultimo il ruolo di una corretta educazione alla legalità, che però può attivarsi soltanto a livello intermedio del percorso, e cioè dopo essersi presi cura dell’“anima” dei ragazzi.
Educare l’intelligenza emotiva porta a riattivare anche gli scenari della fiducia e della speranza, nonché la motivazione a costruire e a far parte di un sistema a cui affidarsi e che tuteli il singolo e la collettività.