Il rischio della tempesta perfetta. L’agroalimentare può finire schiacciato tra Brexit e dazi Usa
Da un mercato comune e libero si potrebbe passare ad un mercato caratterizzato da una pesante presenza di dazi e ostacoli al commercio.
Alla fine Brexit è stata. Anche se, diciamolo subito, per adesso nulla cambia nelle regole delle relazioni commerciali tra il Regno Unito e il resto dell’Europa. Dalla fine di gennaio, infatti, è scattato il periodo di tempo nel quale Bruxelles e Londra dovranno trovare un’intesa reale per continuare a convivere da buoni vicini di casa. Intanto però, governi, imprese e consumatori ragionano sugli effetti possibili di Brexit (alcuni dei quali in realtà già constatati), che comunque può rappresentare un cambiamento forte per molte filiere produttive (anche agroalimentari). L’accento, per ora e con ragione, viene posto sui rischi: da un mercato comune e libero, infatti, si potrebbe passare ad un mercato caratterizzato da una pesante presenza di dazi e ostacoli al commercio oppure con regole di scambio notevolmente diverse da quelle attuali. Una situazione dalla quale l’agroalimentare potrebbe uscirne fortemente penalizzato.
Per capire il livello di rischio bastano pochi dati. Le forniture agroalimentari italiane alla Gran Bretagna nel 2019 sono state stimate pari a circa 3,4 miliardi di euro; ciò significa che questo mercato è al quarto posto dopo quelli di Germania, Francia e Stati Uniti. Gli inglesi apprezzano, dice Coldiretti, prima di tutto il vino che complessivamente fattura circa 800 milioni di euro (il solo Prosecco Dop vale circa 350 milioni e fra l’altro negli ultimi mesi è stato protagonista di una corsa agli acquisti proprio da parte degli importatori inglesi). Segue l’ortofrutta fresca e trasformata come i derivati del pomodoro con 250 milioni di euro, ma rilevante – continua la Coldiretti – è anche la presenza della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva. Importante anche il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano per un valore che supera i 100 milioni di euro nel 2019, sempre secondo proiezioni Coldiretti. Nel complesso – sottolinea l’organizzazione agricola – la Gran Bretagna importa dall’Unione Europea quasi un terzo del cibo consumato. Ad essere in qualche modo toccate, sarebbero, secondo Cia-Agricoltori Italiani, qualcosa come 40mila imprese italiane. Che poi quello inglese sia un mercato importante, lo si deduce dal fatto che, come ha annotato Confagricoltura, nel periodo 2001-2017, la presenza di prodotti agroalimentari nazionali sul mercato britannico è aumentata del 43%.
Regno Unito ed Europa vicini di casa senza regole ferree, non solo dal punto di vista dei dazi ma anche e soprattutto delle norme di qualità e igienico-alimentari, potrebbe essere una situazione capace davvero di generare effetti devastanti.
Quello della Brexit, fra l’altro, è il segnale della presenza di culture del cibo, dell’agricoltura e dell’ambiente che appaiono completamente diverse e quasi incompatibili.
Ne è prova quanto affermato qualche giorno fa dal premier inglese Boris Johnson: pronto ad accettare controlli alle frontiere, pur di non accettare l’imposizione dei regolamenti e gli standard europei sulle merci, come richiesto dalla Ue. Una prospettiva che, giustamente, ha allarmato Coldiretti che ha spiegato: “Il Made in Italy resterebbe senza protezione europea e subirebbe la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione realizzati oltreoceano e nei Paesi extracomunitari come dimostrano le vertenze del passato nei confronti della Gran Bretagna con i casi della vendita di falso prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano”.
Ma a questo punto che fare? L’unica strada percorribile è quella di un severo negoziato che riesca a non derogare ad alcuni principi di fondo, che fra l’altro sono propri dell’agricoltura europea e mediterranea in particolare: la tutela dell’ambiente e della salubrità degli alimenti, la salvaguardia dell’agricoltura in quanto tale, il riconoscimento dell’origine dei prodotti e delle materie prime.
Serve arrivare ad un accordo commerciale che, come ha sottolineato Alleanza Cooperative Agroalimentari, “salvaguardi le relazioni tra UE e Regno Unito e tuteli l’enorme patrimonio rappresentato dai prodotti a denominazione d’origine, di cui l’Italia detiene una leadership assoluta”. Altrimenti si realizzerà quanto paventato da Coldiretti: lo scatenarsi di una tempesta perfetta provocata da Brexit, i dazi di Trump e l’embargo russo.