Il fascino discreto dell’amor cortese. Da dove viene la nostra attuale concezione dell’amore?

La riedizione di  “L’eresia del male” di Raoul Manselli riapre l’antico discorso dei rapporti tra Catari e poesia provenzale.

Il fascino discreto dell’amor cortese. Da dove viene la nostra attuale concezione dell’amore?

Da dove viene la nostra attuale concezione dell’amore, da dove vengono le contraddizioni di un amore che sembra per una vita e che è cancellato al primo refolo di vento contrario? E, soprattutto, c’è ancora spazio per un amore che riesca a superare le insidie del tutto e subito, della bellezza a tutti i costi, dell’apparire piuttosto che dell’essere?

Può sembrare strano, ma a rispondere a queste domande ci può aiutare un libro di storia medioevale, “L’eresia del male” di Raoul Manselli (1917-1984) riedito oggi dall’editore Fuorilinea. Uno studio che ha riaperto una serie di inquiete domande su un oscuro periodo della storia: l’apparizione dei Catari, i contenuti della loro dottrina, la risposta della Chiesa e della corona francese. E ripropone una questione affascinante: c’è un rapporto tra quella eresia e la lirica d’amore provenzale?

Questione che venne affrontata nel secolo passato da alcuni studiosi, come lo svizzero Denis de Rougemont, di fede protestante, che si era avvicinato al personalismo e ad alcuni suoi esponenti, tra cui lo stesso Mounier. I due libri, quello di Manselli, risalente al 1963, e quello di de Rougemont, “L’amore e l’occidente” (ed. it. Rizzoli, 1989) edito una prima volta alla fine dei Trenta del ‘900, appartengono apparentemente a due dimensioni diverse: lo storico indaga su documenti, testimonianze, monumenti, lo scrittore-saggista ha di fronte a sé la dimensione lirica, quella occitanica, trobadorica, o provenzale che dir si voglia, alla radice della poesia così come la intendiamo noi oggi. E anche della nostra concezione dell’amore.

Ambedue si soffermano, brevemente Manselli, per quasi tutta la sua opera de Rougemont, sulla questione del rapporto tra lirica d’amore cortese e dualismo religioso. Cosa c’entra la fede in una radicale separazione tra principio del bene e quello del male con la lirica dei trovatori? Manselli liquida la questione: “non una volta, come sembra, si trovano dei trovatori, non diciamo grandissimi (…), ma neppure dei minori” negli interrogatori inquisitoriali, perciò non si può sostenere che ci sia un rapporto tra le due cose. De Rougemont invece ritiene che il dualismo assoluto sia l’origine di quella componente della poesia trobadorica che canta il non-possesso dell’amore, la lontananza. Da qui partiranno diverse possibilità interpretative: l’amore che non cerca soddisfacimento nel possesso dell’amata non è altro che il mascheramento del rifiuto da parte dei Catari della materia, creazione del dio del male; dietro la donna cantata si cela la chiesa catara; l’amore puro di tanti trovatori è il rispecchiamento del solo amore spirituale contro la sessualità e la riproduzione da parte dei “Perfetti”, e tant’altro.

Ma qui, come accadde alla fine del XII secolo, nel “De amore” del “misterioso” Andrea Cappellano, arriva una imprevista ritrattazione: certo, il fascino dell’amore di Tristano e Isotta, di una immagine così pura della signora, amata eppure collocata così lontano da sé, è indubbio, soprattutto in un momento, nota de Rougemont in cui, negli anni quaranta del Novecento, il matrimonio ha perso tutto il suo fascino e si sono affermate sessualità e passione senza limiti apparenti.

Gli amanti provenzali però, scrive lo svizzero, “si amano, ma ciascuno ama l’altro partendo da sé stesso, non dall’altro”. È l’amore dell’amore, non di una persona in carne, ossa e spirito, conclude l’autore, proprio come sette secoli prima il già citato “De amore” si concludeva con la condanna di quell’amore fine a se stesso e soprattutto con la rivalutazione del matrimonio.

Un argomento che ha coinvolto molti, e in svariati campi: basti pensare al film di Luis Buñuel, “La via lattea”, del 1969, o il romanzo “Storia d’amore e di eresia” (Bompiani, 2002) di Charmaine Craig. Senza dimenticare il fascino, – abbia o no ragione de Rougemont sulle sue origini catare -, di una poesia, come quella dei trovatori che ancora oggi rappresenta uno dei punti di riferimento della letteratura moderna.

Ma ancor di più riapre la questione del matrimonio, con il tentativo, soprattutto di de Rougemont, di recuperarlo, sottraendolo sia agli attacchi del materialismo del suo tempo, sia al sogno di una passione divorante, sia a quello di un amore da cui fuggire per farlo paradossalmente vivere. E facendone una amorosa, ma realista accettazione del destino dell’altro. Anche quando l’altro non appare più come la divinità senza limiti e confini.

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Fonte: Sir