Gite di prossimità. In questo anno senza gite alcune scuole hanno organizzato visite nei quartieri
Conoscere e avere occasione di riflettere sull'ambiente che ci ospita, aiuta a maturare conoscenze e a calarsi nella concretezza.
Si chiude un anno scolastico senza gite, né viaggi di istruzione. Per alcuni studenti sono stati nove mesi, o poco meno, di DaD. Per altri un mix fra didattica a distanza e in presenza, vissuto a singhiozzo e con grande fatica.
In questo mese di maggio alcune scuole hanno azzardato delle uscite nel quartiere o nel territorio, naturalmente nel pieno rispetto delle regole sulla sicurezza e facendo attenzione ai divieti ancora in essere. Sono state organizzate soprattutto delle lezioni all’aperto, in coerenza con i programmi svolti di educazione civica e ambientale, oppure per offrire spazi nuovi alle attività di scienze motorie in timida ripresa.
Dopo i mesi di segregazione le proposte degli insegnanti sono state accolte con grande entusiasmo dagli studenti. Le complicate limitazioni, riguardanti anche i trasporti, hanno rilanciato quelle zone un po’ dimenticate, o addirittura semisconosciute delle città. Ecco un altro aspetto della pandemia che si è rilevato alla fine una bella opportunità.
Negli ultimi decenni la scuola ha preso il largo, spesso senza aver opportunamente esplorato la costa. La metafora marinaresca si presta a svariate considerazioni.
Quando si accolgono bambini e ragazzi all’interno di una istituzione scolastica, si è pronti a partire dal loro vissuto e dalle loro radici. Ma i ragazzini non sono affatto consapevoli dell’identità dei luoghi a cui appartengono. Spesso le stesse famiglie ignorano la storia del posto in cui vivono e anche le risorse che possono trovarvi. Questo accade soprattutto nelle grandi città, dove le persone non hanno radici profonde. Non sempre abbiamo avuto chiara questa lacuna e ci siamo lanciati in progetti che davano per scontato il legame con il territorio.
Nelle visite culturali sono stati privilegiati luoghi distanti e raramente si è considerata l’ipotesi di spostare il raggio delle lezioni al di fuori dell’edificio scolastico. D’altronde per uscire occorre organizzare, raccogliere “autorizzazioni” e gestire le ansie e le preoccupazioni delle famiglie.
Tra i tentativi di esplorazione fatti, apprezzabili sono stati i percorsi di riqualificazione dei quartieri. Assieme a questi sono stati proposti itinerari sulla memoria. In alcuni casi, le esperienze sono state vincenti e con forti ricadute sui giovani. Mai come adesso, però, ci corre l’urgenza di conoscere i luoghi che ci ospitano.
L’isolamento forzato all’interno delle nostre abitazioni ha disinnescato i nostri meccanismi di difesa nei confronti dello spazio urbano. Sarà anche perché, finalmente, lo abbiamo attraversato a piedi o sulle due ruote, creando con esso un contatto più autentico e sperimentando sincera curiosità.
Abbiamo vissuto per anni la città come un luogo ostile, pieno di pericoli. Passavamo dal chiuso dei nostri appartamenti al chiuso dell’abitacolo della nostra automobile, o sigillati nei mezzi pubblici, evitando di prendere confidenza con lo spazio esterno, che negli anni ha progressivamente perso la sua funzione pubblica e di incontro.
Camminando, o pedalando abbiamo dunque ristabilito il contatto con la strada e la vivacità dei fabbricati che essa attraversa. Bambini e ragazzi hanno trovato rifugio nei parchi di quartiere, uscendo dagli ambienti stereotipati e dai fazzoletti dei giardini privati. L’abbattimento dei consueti confini ha riservato delle sorprese, come agriturismi nascosti nelle pieghe urbane, porti, spiagge o paesaggi montani e collinari a pochi chilometri da casa.
Conoscere e avere occasione di riflettere sull’ambiente che ci ospita, aiuta a maturare conoscenze e a calarsi nella concretezza. Significa avere una idea meno approssimativa sulla nostra identità e sulla storia recente delle nostre famiglie, pianificare con ragionevolezza il nostro futuro. Cogliere questa opportunità vuol dire rendere più consapevoli, sicuri e autonomi i nostri ragazzi.