Energie agricole. Presentato il primo trattore alimentato con biometano
Ma la strada verso le energie pulite è ancora lunga e complessa.
Qualche giorno fa è stato presentato ufficialmente il primo trattore al mondo alimentato solo con biometano: stessa potenza di un motore diesel ma con il 30% in meno di costi e emissioni inquinanti. Un grande risultato senza dubbio. Che la dice lunga sulle potenzialità della ricerca e su quelle dell’agricoltura in particolare. Perché buona parte dei cosiddetti biocarburanti può essere prodotta con scarti delle produzioni agricole. Il futuro, certamente. Che, tuttavia, deve essere valutato con grande attenzione e con molta concretezza. Non sempre, oggi, il passaggio alle bioenergie è così facile e conveniente.
Un nuovo trattore, dunque, che i coltivatori diretti hanno subito indicato come un punto fondamentale “nel piano strategico italiano sullo sviluppo delle energie rinnovabili che – sottolinea Coldiretti – ha l’obiettivo da oggi al 2030 di immettere nella rete 6,5 miliardi di metri cubi di biometano grazie alla trasformazione in energia pulita del 65% dei reflui degli allevamenti Made in Italy. Un traguardo necessario anche a scongiurare l’allarme lanciato dal servizio studi del Parlamento Ue sul costo di oltre mille miliardi di euro all’anno in caso di fallimento della transizione energetica in Europa”.
Più in generale è vero quello che coltivatori e tecnici vanno dicendo da tempo: attraverso l’utilizzo degli scarti per la produzione di energia è oggi possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica. Soprattutto oggi, nel momento in cui tutti i comparti produttivi devono fare i conti con un formidabile rincaro delle materie prime e dei costi energetici. Una condizione pesante soprattutto per l’agroalimentare italiano che deve confrontarsi con la rete infrastrutturale nazionale e con la prevalenza del trasporto su gomma. Senza dire degli altissimi consumi di energia per particolari prodizioni come tutte quelle in serra, floricole e orticole.
L’agricoltura, in altri termini, è davvero, per taluni suoi comparti, un’attività energivora. Ma può anche essere fonte di energia. A disposizione per la trasformazione ci sono i residui di potatura e delle varie operazioni colturali in campo, quelli della lavorazione delle industrie agroalimentari, i rifiuti organici vegetali.
Se si guarda però alla realtà dei fatti, non tutto è così semplice. Anche se non mancano le premesse positive. Una delle filiere con maggiori potenzialità pare essere, per esempio, quella legata ai reflui prodotti nelle stalle italiane. Gli allevatori più visionari parlano già di una filiera “dalla stalla alla strada” e spiegano come attraverso “lo sviluppo del biometano agricolo italiano si potrebbero immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di gas verde da qui al 2030”. L’esempio che colpisce la fantasia è semplice: con le deiezioni annuali di due vacche sarebbe possibile produrre la quantità di energia sufficiente per andare e tornare da Milano a Bruxelles. Più in generale le previsioni delineano la possibilità di creare impianti di biometano non solo per i mezzi pubblici (in alcune città ci sono già), ma anche per le stesse auto dei cittadini e, appunto, i trattori per il lavoro agricolo. In questa direzione vanno già diversi progetti costruiti tra agricoltori e industriali. E non solo per il biometano ma anche per la produzione di bioetanolo. Ci possono poi essere altre fonti utilizzabili. Basta pensare alle potenzialità nella produzione di energia termica dalle foreste. E senza guardare ai boschi, ci sono già sparsi per lo Stivale agricolo esempi di aziende che si sono ingegnate per l’utilizzo degli scarti per la produzione di energia (dai residui della molitura delle olive agli scarti di lavorazione del luppolo oppure dalla canapa).
La questione di fondo, comunque, non è quella riferita alla capacità tecnica ma quella dei costi. Il sistema della cooperazione avverte da tempo: “E’ importante garantire a chi investe nel biogas di operare nel contempo senza perdere di vista la sostenibilità economica. Ad oggi sono poche le realtà in agricoltura che sono riuscite a fare biometano perché i costi sono molto alti”. Servono quindi sostegni pubblici abbondanti. Un’indicazione che arriva anche dal mondo della ricerca. Per capire meglio, basta sapere che l’Università di Torino ha recentemente calcolato che se si volesse alimentare con carburanti agricoli tutti i nostri trattori, circa il 40% dell’attuale superficie coltivata in Italia dovrebbe essere adibita solo alla produzione di materie prime destinate alla trasformazione energetica. Ma attenzione, tutto può cambiare a seconda del combustibile scelto. Il biometano, per esempio, è più economico che altri carburanti, e buoni margini ci sono anche per il bioetanolo. Tutto questo, poi, non significa che saremo legati filo doppio e per sempre ai combustibili fossili, ma che la strada per sciogliere tutti i lacci è ancora lunga e complessa. Ma va certamente percorsa.