Desiderio come oltre. Un libro del filosofo Petrosino analizza la natura del desiderio e la sua straordinaria attualità
Il suo scorrere tra filosofia, psicanalisi e fede, apre gli occhi su una realtà talmente attuale da essersi paradossalmente resa invisibile: il consumismo.
“Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli
ad abitare nel paese”.
Questo passo di Isaia è molto importante per capire l’attualità del libro del filosofo -insegna all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano- Silvano Petrosino, “Il desiderio. Non siamo figli delle stelle”, (Vita e Pensiero, 2019, 94 pagine, 13 euro). Il suo scorrere tra filosofia, psicanalisi e fede, apre gli occhi su una realtà talmente attuale da essersi paradossalmente resa invisibile: il consumismo. Petrosino la prende alla lontana, apparentemente, ma già l’origine del nome rivela il suo stesso senso: quel “de”, che indica lontananza o provenienza, e quel “sidera”, le stelle, il cielo stellato, potrebbe infatti alludere a qualcosa che viene da lì o, come scrive l’autore, alla mancanza di punti di riferimento, o, ancora, al tentativo di togliere le stelle dalla propria vita, vale a dire di sconfiggere il proprio destino che si pensava fosse scritto nelle stelle.
Qui inizia il cammino assai lungo e che ha affascinato pensatori come Lévinas, e prima ancora Benjamin e Wittgenstein, alla ricerca di ciò che abbiamo perduto o di ciò verso cui tendiamo. Giustamente l’autore distingue, insieme a gran parte del pensiero filosofico cui fa riferimento, “bisogno” da “desiderio”. Il bisogno può essere semplicemente la mancanza di ciò che materialmente ci tiene in vita: il cibo, ad esempio.
Desiderio invece indica una assenza profonda, che va oltre l’oggetto del desiderio stesso, perché impone all’essere proprio quel vuoto come essenziale al suo stesso umano esistere. E che lo distingue da animali e piante. E che però se strumentalizzato, porta al consumo per il consumo e non per il bisogno reale. Nel consumismo tutto si concentra sul godimento, come scrive l’autore, disponendosi a portata di mano. Il continuo “essere senza territorio” del desiderio vero viene tramutato, attraverso il bombardamento mediatico, in un territorio sterminato di cose da consumare, cose che abbiamo già o che non ci servono. Magari solo per il “prestigio” di possedere quella marca. Non solo Isaia e il Cristo ci hanno ammonito a non creare questa dipendenza dalla “roba” peraltro genialmente narrata da Giovanni Verga, ma tutta una letteratura, anche musicale (non ultimo il Tito Schipa jr dell’opera rock “Orfeo 9” in cui il protagonista desidera di avere ciò che ha già) ci ha messo in guardia dal pericolo di desiderare di acquistare quello che già possediamo, stregati da una “fame” indotta, che ci fa cercare l’oltre sui banchi di un supermarket, come notò una volta Jacques Lacan. Con il rischio di restare soli con la nostra merce “ad abitare il paese”, per ritornare al profeta Elia.
Lentamente il cammino di Petrosino arriva alla mancanza-presenza di Dio, e qui il discorso diventa ancora più “duro” nella sua assertività filosofica: Dio non appare quando, come e dove vogliamo, a seconda dei nostri, appunto, desideri: “incontrare Dio sulla strada del bisogno e intenderlo come (…) un ‘onnipotente tappabuchi’, significa intenderlo mondanamente”, avverte il Nostro.
E allora? Allora bisogna abituarci a pensare che il desiderio di Dio è qualcosa di altro rispetto ai bisogni materiali, che ci porta molto più lontano di quanto potremmo pensare, oltre la materia e, per tornare al titolo del libro, oltre le stelle.