Dati allarmanti: un'agricoltura senza redditività
Nonostante una crescita del 3,9 per cento, in termini di valore della produzione lorda vendibile, l'agricoltura veneta non sembra certo gratificare gli attori protagonisti. Molte aziende rischiano nel prossimo futuro di chiudere
Nonostante una crescita del 3,9 per cento in termini di valore della produzione lorda vendibile, l'agricoltura veneta non sembra certo gratificare gli attori protagonisti. Vale a dire le aziende agricole del territorio che per prime risentono delle ormai evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici, della pressione burocratica, tutt'altro che allentata, e dell'inarrestabile aumento dei costi di produzione legati a tariffe e servizi.
Sono aziende, così si evince dalla nota della Cia padovana diffusa in questi giorni, sempre più in ginocchio che, in aggiunta, subiscono il fatto di vedersi riconoscere prezzi inadeguati rispetto al prezzo finale con il quale i prodotti vengono venduti ai consumatori. Il divario tra il prezzo all'origine di ortofrutta, carne, latte e prodotti caseari e quello che si trova nella grande distribuzione è ben palese: le zucchine, ad esempio, che vengono pagate all'agricoltore 35 centesimi al chilo, finiscono sui banchi dei supermercati anche oltre i 2 euro e 20 centesimi al chilo. E ancora, i peperoni, prodotti di stagione che l’agricoltore conferisce a 70 centesimi al chilo per poi vederli in vendita oltre i 2 euro. I pomodori, di contro, partono dai 25 centesimi al chilo pagati sul campo per arrivare e superare l'euro e 50 centesimi sui banchi.
Non va meglio per gli allevatori che registrano lo stesso andamento, se non peggiore. Infatti, chi alleva vacche da latte e produce formaggio deve fare i conti con un prezzo all'origine per un litro di latte che non supera i 37 centesimi, mentre lo stesso latte il consumatore lo paga addirittura 2 euro e ben di più per i diversi formaggi che vengono ricavati sempre da quei litri di latte. Per quanto riguarda la carne bovina da macelleria l’allevatore spunta 3 euro e 95 centesimi al chilo ma i tagli di carne finiscono nelle grandi catene distributive al doppio o più.
«L’agricoltura è un settore che paga più di ogni altro le conseguenze della crisi e dei cambiamenti climatici ormai evidenti – dichiara il direttore della Cia di Padova, Maurizio Antonini – Oltre a una pressione burocratica insostenibile, all’alternarsi di piogge, grandinate e siccità, le aziende continuano a dover fare i conti con il mancato riconoscimento di un prezzo adeguato dei prodotti all’origine e senza veder diminuire i costi di produzione. Una situazione che non è più sostenibile e che rischia di mettere in pericolo un settore di importanza cruciale per la popolazione e per l’intera economia. Infatti, nel 2017 in Veneto il numero di imprese è diminuito dell'1,5 per cento rispetto al 2016 e in provincia di Padova si contano 12.154 imprese iscritte alla Camera di commercio, con un calo dell’1,4 per cento. Questo a dimostrazione del fatto che, se non si interviene in modo rapido e concreto, il settore primario rischia la sua stessa esistenza e, conseguentemente, i cittadini rischiano di non vedere più garantite più le produzioni necessarie».
Anche i prezzi del grano duro segnano il passo
Come per quasi tutti i prodotti dell'agricoltura italiana, anche per il grano duro i prezzi sono ben al di sotto dei costi di produzione. Sono molte le criticità anche per la promettente varietà “Senatore Cappelli”, con dati inferiori alle previsioni, che confermano l'incapacità di produrre semi a sufficienza per un mercato in espansione.
È questo quanto emerge da un'ulteriore analisi della Cia sui prezzi pagati alla produzione nello specifico comparto cerealicolo con un raccolto che si dovrebbe attestare su 4,3 milioni di tonnellate. La situazione per gli imprenditori è preoccupante, segnala la Cia che chiede un intervento urgente del ministro delle politiche agricole, Gian Marco Centinaio, per dare risposte concrete a quanti stanno assistendo al fallimento di alcuni accordi di settore tanto propagandati.
Gli ettari seminati dell'attuale campagna sono 1,3 milioni, indicativamente pari agli stessi della precedente, ma grazie a un lieve miglioramento delle rese in alcuni aree, la produzione segna un aumento del 2 per cento con un raccolto che si attesta sui 4,3 milioni di tonnellate. Buona la qualità relativamente ai valori proteici, sebbene resti incongrua la situazione dei prezzi di mercato che continuano a rimanere fermi intorno ai 200 euro la tonnellata.
Risultano contraddittorie le notizie dell'import, con un calo dai tradizionali paesi di approvvigionamento come il Canada e, mentre si rafforzano le importazioni da Kazakistan, Stati Uniti e Australia, crescono Messico e Argentina.
Dall'Europa, di contro, arriva dalla Francia un prodotto competitivo per qualità e quantità e a prezzi più contenuti del Durum canadese e questo in concomitanza con la trebbiatura in Italia, che porta un ulteriore compressione sui prezzi all'origine del grano nazionale. Non ultimi, segnala ancora la Cia, i dati ancora provvisori dell'entrata in vigore del trattato Ceta che sembra non abbia avuto alcun impatto sull'import di grano duro dal Canada.