Cinghiali, un problema in più. Gli agricoltori devono affrontare anche fenomeni naturali che incidono fortemente sulla loro attività
Questi animali – un po’ con il clima pazzo che nessuna tecnologia pare riuscire a contenere -, possono condizionare i raccolti e la sicurezza nelle campagne.
L’agricoltura del Belpaese, quella dei prodotti tipici blasonati così come della qualità agroalimentare portata ai massimi livelli, ha a che fare sempre di più con un problema grave: il dilagare dei cinghiali nei campi. Non si tratta di un’invenzione di pochi contadini, ma di un problema vero. Che genera danni milionari e mette, spesso, a rischio la vita delle persone che in campagna lavorano oppure che semplicemente passano.
Cinghiali, dunque. Proprio loro, che per certi versi appaiono fuori posto in un’agricoltura moderna, sempre più digitalizzata e attenta all’ambiente. Eppure, questi animali – un po’ con il clima pazzo che nessuna tecnologia pare riuscire a contenere -, possono condizionare i raccolti e la sicurezza nelle campagne, in barba ad ogni accorgimento tecnologico che l’uomo può inventare.
Problema serio, tanto che Coldiretti, dopo una serie di manifestazioni locali e azioni istituzionali, è arrivata ad una protesta davanti al Parlamento pur di farsi ascoltare. Raccogliendo molti proseliti. Anche perché quella dei cinghiali è una questione che riguarda tutti. Così, qualche giorno fa, sindaci, presidenti di regione, parlamentari, segretari di partito e ministri delle diverse forze politiche sono scesi in campo a sostegno della mobilitazione dei coltivatori diretti. Mossa provocata forse anche per cercare consenso politico, ma, ed è questo che conta, dalla constatazione dell’esistenza del problema: 2,3 milioni di cinghiali che distruggono le produzioni alimentari, devastano raccolti, assediano campi, causano incidenti stradali con morti e feriti e si spingono fino all’interno dei centri urbani dove razzolano tra i rifiuti con pericoli per la salute e la sicurezza delle persone.
Alla fine della manifestazione romana, il governo ha naturalmente promesso di intervenire in tempi brevi. “Il problema – è stato spiegato -, non sono i risarcimenti dei danni, ma il fatto che i danni non ci devono essere”. Le soluzioni al dilemma non sono poi molte. Il contenimento passa obbligatoriamente per una serie di abbattimenti che devono tuttavia contemperare le esigenze della produzione agricola con quelle dell’ambiente. Ed è necessario anche un coordinamento tra le regioni che, spesso, fino ad oggi non è esistito.
Quello dei cinghiali è però un argomento che porta almeno a due considerazioni diverse. Da un parte il dilagare dei cinghiali, e i suoi effetti, sono gli esempi lampanti di quanto l’agricoltura sia comunque sempre davvero una “fabbrica naturale a cielo aperto”.
Nonostante tutte le tecnologie che posso essere messe in atto, la natura è pronta a graffiare e a farsi sentire. E conta poco che cinghiali, grandine, trombe d’aria, gran secco e alluvioni siano tutti fenomeni provocati in qualche modo dall’agire dell’uomo: rimane il fatto che l’uomo stesso di fronte a tutto questo ha ben poco da giocare. Ed è una situazione che deve far pensare, visto che, stando ad alcune ultime statistiche rese note in questi giorni, proprio problemi come i cinghiali incidono su un settore alimentare che, unico nell’economia, continua a crescere nonostante tutti i problemi generati dalla pandemia in questi ultimi tempi.
Poi c’è un altro aspetto: il coordinamento tra i diversi attori sui territori e tra territori tra di loro. Eterna questione italiana – e non solo agricola -, quella dell’organizzazione degli interventi, della pianificazione delle politiche, dell’efficacia delle azioni, continua ad essere uno dei nodi da sciogliere per il Paese. Senza dire delle promesse poi non realizzate (magari non per scarsa volontà ma semplicemente per disattenzione e incostanza nell’azione), delle quali la storia politica, anche agroalimentare, è costellata.