Che stress lo zoom. Gli effetti nocivi delle lunghe ore passate nelle video-call per "smart working"
A lungo andare, le frequenti video call possono portare delle conseguenze negative per la mente e per il corpo.
Per milioni di persone, la pandemia in atto ha significato – tra le altre cose – cambiare la modalità lavorativa, tramutandola in “smart working”. Ma “smart working”, a sua volta, per tanti di noi è diventato anche sinonimo di “video call”. E giù, allora, a trascorrere ore e ore su Zoom, Meet, Skype, e chi più ne ha più ne metta, per “incontrare” online colleghi, clienti, studenti, ecc…, spesso con la sgradevole sensazione – talvolta obbligata dalla risicata situazione logistica – di vederli quasi… spiaccicati sul nostro muso!
Su tutto ciò si può anche sorridere (ed è bene farlo ogni tanto!), ma insieme bisogna tener presente che, a lungo andare, le frequenti video call possono portare delle conseguenze negative per la mente e per il corpo, seppur mitigabili con facili attenzioni. Ci riferiamo a quella sindrome che, di recente, la scienza ha ufficialmente ribattezzato come “zoom fatigue”, ovvero… stress da videoconferenza!
Lo ha sancito un recente studio (pubblicato sulla rivista “Technology, Mind and Behavior”), condotto dai ricercatori dell’Università di Stanford, coordinati da Jeremy Bailenson, fondatore e direttore dello Stanford Virtual Human Interaction Lab. Il gruppo di studiosi ha identificato nella cosiddetta “ansia da specchio” uno dei principali elementi responsabili della “zoom fatigue”. In altre parole, essere costretti a vedersi in call per diverse ore al giorno pare abbia effetti decisamente negativi sul nostro cervello. I ricercatori sono giunti a questa conclusione mediante l’analisi dei risultati di un questionario somministrato a 10.322 persone, evidenziando per altro come lo stress da videocall affligga più le donne (il 13,8% di quelle che hanno partecipato allo studio ha catalogato le videochiamate come molto o estremamente faticose) che gli uomini.
In verità, già in passato alcuni studi avevano dimostrato come le donne, quando si guardano allo specchio, tendano a focalizzare lo sguardo su stesse più degli uomini. Una tendenza che le piattaforme di videoconferenza sembrano ora favorire ed estremizzare, aumentando l’autocoscienza delle partecipanti circa la propria immagine e favorendo la nascita di pensieri negativi. Tutto ciò, proiettato nel lungo periodo, si può tradurre in stress e affaticamento. La “zoom fatigue”, inoltre, sembra colpire maggiormente le persone più giovani e ansiose.
Secondo Bailenson e colleghi, sono quattro gli elementi di maggior disagio, conseguenti alle sessioni prolungate di video call. Ma per ciascuno di essi, basterebbe applicare piccole attenzioni probabilmente risolutive.
1) La quantità e intensità di “occhi ravvicinati” sullo schermo, unita alla dimensione dei volti risulta innaturale. In attesa che le piattaforme di collegamento migliorino le loro interfacce, si consiglia di non usare l’opzione “full-screen”, riducendo invece la dimensione della finestra attiva (e di conseguenza diminuendo la dimensione dei volti presenti) e, possibilmente, aumentando la distanza tra se stessi e lo schermo del computer.
2) Durante le sessioni di video chat, osservare se stessi costantemente in “real-time” (tipica immagine quadrata dedicata su un lato della finestra) è alquanto faticoso per la mente. Se la video riunione non richiede necessariamente la nostra immagine, meglio optare dunque per comunicare con il solo audio, oppure attivare il comando “nascondi la tua immagine” (“hide self-view”).
3) Il lungo tempo passato stabilmente davanti allo schermo, inevitabilmente, riduce la nostra usuale e necessaria mobilità. A tal proposito, Bailenson suggerisce – laddove possibile – di utilizzare una videocamera esterna, da piazzare in una posizione della stanza che consenta un’inquadratura più ampia, così che, di tanto in tanto, ci si possa muovere senza uscire dall’inquadratura stessa; in alternativa, ogni tanto si può spegnere il proprio video (magari concordandolo come possibilità per tutti i partecipanti), lasciando attivo l’audio.
4) Lo sforzo cognitivo è maggiore in video chat. Bailenson e colleghi, infatti, sottolineano come, durante le normali interazioni “faccia-a-faccia”, la comunicazione non verbale risulti abbastanza naturale per ciascuno di noi, che spontaneamente esprimiamo ed interpretiamo, anche in modo subcosciente, gesti e segnali nel contesto globale dell’incontro. Ma nell’immagine ristretta dello schermo, bisogna faticare molto di più per inviare e ricevere “segnali comunicativi” adeguati. Anche in questo caso, la soluzione risiede nell’assicurarsi dei periodici break “no-video”, sia per riposare dallo sforzo della comunicazione non verbale, sia per allontanarsi fisicamente dallo schermo del computer “in modo che – spiega Bailenson – per pochi minuti tu non sia asfissiato da gesti che sono percettivamente realistici ma socialmente insignificanti”!
Ringraziamo gli studiosi per gli utili consigli, ma soprattutto… continuiamo a sperare di poter presto normalizzare le modalità dei nostri incontri e riunioni.