Carcere, nido alla Dozza: ci sono i bimbi, ma non gli educatori
Inaugurato a luglio, da pochi giorni accoglie due bambini figli di madri detenute. La denuncia dei sindacati. Sinappe: “Ci avevano assicurato che sarebbero stati messi a disposizione i servizi del quartiere – scuole incluse – ma, a oggi, non c’è nulla di concreto”
Si erano mossi anche i garanti e i penalisti per chiedere di non aprire un nido nella sezione femminile della Dozza, ma invano. Perché lo scorso 9 luglio è stato inaugurato: “Nessuno vuole vedere bambini in carcere, ma la legge lo prevede – aveva detto in quell’occasione la direttrice Claudia Clementi –. L’augurio che voglio fare a questa struttura è che venga utilizzata il meno possibile. Speriamo che presto ci siano norme che la rendano non più attuale, e che dunque possa essere definitivamente superata”. Contestualmente, l’assessore alle pari opportunità Susanna Zaccaria aveva parlato di “soluzione ponte”. La discussione non si è sopita, in questi mesi, anche perché, di fatto, il nido ancora non era ‘attivo’ e, dunque non poteva ospitare madri detenute con figli piccoli (la scorsa estate, infatti, un bimbo è entrato in una sezione ‘comune’). Le cose sono cambiate pochi giorni fa, con l’accoglienza di due bambini: prima è arrivata una donna detenuta con una bimba di pochi mesi, poi c’è stato l’ingresso di un bimbo di due anni figlio di una donna già in carcere.
La discussione, così, si è riaperta: Uilpa Polizia penitenziaria, sulle pagine de Il Resto del Carlino, ha richiamato la legge 62 del 2011 che prevede misure alternative al carcere per le madri detenute con figli fino ai 6 anni di età – salvo casi eccezionali – ma, “nonostante tutto, si continua a far vivere dietro le sbarre bambini innocenti”.
Di diverso avviso i colleghi del Sinappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Il presupposto è il medesimo che, a luglio, espresse la direttrice: la legge, a oggi, prevede che le case circondariali abbiamo una sezione nido.
“La struttura della Dozza è molto curata – spiega il Sinappe –. Sono stati presi tutti gli accorgimenti necessari, a livello estetico e di arredo. Quello che, purtroppo, oggi dobbiamo constatare è che non tutti i servizi e le prestazioni che erano stati annunciati sono effettivamente previsti”. Per esempio? “Per esempio manca un ordine di servizio.
La gestione è affidata al buon senso delle agenti penitenziaria, molte delle quali sono mamme. Ma non è così che dovrebbe essere: ancora non è prevista una formazione adeguata, anche se l’abbiamo chiesta più e più volte.
E poi non c’è un educatore specifico. Non solo: era stata garantita un’apertura al territorio, era stato assicurato che i bambini – se le madri avessero voluto – avrebbero potuto frequentare le attività – e le scuola – del quartiere. Purtroppo di tutto ciò non v’è traccia: l’amministrazione ci ha detto che se ne sta parlando, ma sono passati più di due mesi dall’inaugurazione, non è accettabile. Quello di Bologna non è un nido di passaggio: qui le madri detenute possono rimanere a lungo. Insomma, non è un servizio completo. Sì, la struttura è bella, ma manca l’anima”.
Ma quello del nido è solo uno dei tanti problemi dell’istituto di via del Gomito: l’altro ieri, infatti, durante una perquisizione ordinaria al terzo piano, dove sono ristretti detenuti del circuito dell’alta sicurezza, sono stati ritrovati due cellulari, un micro-telefonino e uno smartphone di ultima generazione. “Stiamo parlando di detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Come possono esserne entrati in possesso – chiede il Sinappe –? Dall’inizio della pandemia, la disponibilità di colloqui – sia telefonici, sia in videochiamata, sia in presenza – è stata implementata. Difficile, dunque, pensare che si tratti di strumenti utilizzati per mantenere i contatti con i familiari. L’aspetto che più ci preoccupa è legato alla liceità delle comunicazioni. Quello dei telefonini in carcere è un mercato illegale molto fiorente. Potrebbe essere utilizzato anche dalla criminalità organizzata per impartire e ricevere ordini. Non si può essere indulgenti: questo significherebbe il fallimento del carcere anche sotto questo punto di vista”.
Ambra Notari