Cammino nella purificazione e nella bellezza. Scrittori hanno visto nel periodo quaresimale un’anticipazione della gioia della riconciliazione
Il cammino di purificazione è fatto di dolore per gli errori compiuti, ma anche di un qualcosa che unisce la bellezza alla speranza.
“E prego Dio che abbia pietà di noi
E prego di poter dimenticare
Queste cose che troppo
Discuto con me stesso e troppo spiego”.
Nel 1930 Thomas Stearn Eliot pubblicava in volume una serie di liriche che avevano iniziato ad uscire in rivista già dal 1927, con il titolo emblematico di “Ash-Wednesday”, vale a dire Mercoledì delle Ceneri. Mai opera fu più indicata per parlare di questi giorni di penitenza e purificazione, perché essi sono inquadrati in un’ottica assai diversa da una accezione unicamente mortificante del cammino di espiazione. Quest’opera poetica, iniziata cinque anni dopo il capolavoro eliotiano, “La terra desolata”, è infatti rispecchiamento di un percorso compiuto in umiltà e trepida attesa, con la stupenda ripresa del giardino edenico presente negli ultimi canti del Purgatorio di Dante.
Eliot si avvia, dopo la conversione seguita alla terribile visione del vuoto e del non senso della “Terra desolata”, nel riconoscimento dei propri, antichi limiti di intellettuale sempre in cerca di spiegazioni che alla fine si confondono una con l’altra in una sorta di Babele dei significati: come leggiamo nei versi citati in apertura, il poeta chiede di poter dimenticare quella coazione a ripetere della spiegazione a tutti i costi, e di tornare alla felicità dell’istinto, dell’abbandono per troppo tempo riposta nei meandri dell’inconscio.
E anche qui, come la Matelda nel XXVIII del Purgatorio, una figura femminile, misteriosa e affascinante si staglia tra i fiori e la bellezza di un Eden finalmente ritrovato, anche se solo per analogie. Come Dante si rivolge all’enigmatica fanciulla chiedendole di avvicinarsi per poter meglio ascoltarne il canto, così la voce poetica del “Mercoledì delle Ceneri” rivolge commosse parole a metà tra l’ammirazione e la preghiera ad una “Signora dei silenzi/quieta e affranta/ consunta e più integra/ rosa della memoria/ rosa della dimenticanza/ esausta e feconda/ tormentata che doni riposo”.
Una figura che ha qualcosa della Vergine e dell’archetipo femminile, visto qui come sua prefigurazione, proprio come la Matelda del Fiorentino, talmente affascinante da sconvolgere “per maraviglia tutto altro pensare”.
Il cammino di purificazione è fatto di dolore per gli errori compiuti, ma anche di un qualcosa che unisce la bellezza alla speranza. Talmente diverso da una certa immaginazione che vi vede solo buio e tristezza, da tornare nel Petrarca (che tra l’altro non amava molto Dante) dell’ultimo atto del suo Canzoniere, dove appare la preghiera alla Vergine “bella, di sol vestita”, in cui il pentimento per aver amato troppo la creatura al posto del Creatore si stempera nella coscienza di un cammino penitenziale in cui una nuova bellezza, più profonda e spirituale, appare all’orizzonte.
Ed anche in Chesterton il cammino verso il recupero del divino nascosto nella nostra esistenza è improvvisamente illuminato da immagini femminili, la cui bellezza appare ancora una volta in giardini, memoria lontana del Giardino perduto, talvolta inconsapevolmente e nostalgicamente cercato negli angoli delle nostre città.