Ballando con gli occhi. Una storia di vita della porta accanto diventata notizia
Accade che, senza cancellare la crudezza della realtà, si aprano spiragli che consentono di non rimanere prigionieri del buio.
Si sfogliano in queste settimane pagine di giornali con commenti di anniversari tristi e dolorosi, con notizie e immagini che narrano di fatti di disumanità. Un deserto di carta dove sembra impossibile che possa spuntare un colore diverso dal nero. Eppure accade che, senza cancellare la crudezza della realtà, si aprano spiragli che consentono di non rimanere prigionieri del buio.
Sono storie di vita, come quella venuta da Vigonza in provincia di Padova, di un uomo da venti anni in “stato vegetativo irreversibile” come i vocabolari scientifici definiscono chi è affetto da una distruzione irreversibile della corteccia cerebrale.
Lui si chiamava, anzi si chiama, Massimo Vita ed era stato vittima nel 2001 di un incidente automobilistico. Lei, sua moglie, si chiama Monica, il loro figlio Andrea.
Agli inizi di settembre Massimo è morto. Monica gli era accanto anche in quel giorno e gli aveva rivolto queste ultime parole: “Vai tranquillo, amore, io sono qui”.
Il titolo dell’articolo che si snoda un’intera pagina è una frase di lei: “Il mio Massimo ci ha amati ogni ora”.
E poi il suo racconto: “Sorrideva davvero, sorrideva tanto. Sono venuta a raccontargli ogni novità e ogni progresso scolastico di nostro figlio Andrea per tutti questi anni. Abbiamo passato insieme ogni Natale, ogni compleanno. Abbiamo superato anche la pandemia quando per tre mesi ci siamo potuti solo fare delle video chiamate in cui io continuavo a fargli i nostri racconti”.
Per venti anni si sono parlati con il linguaggio degli occhi. Neppure i medici credevano a un così straordinario legame con la vita, con la famiglia.
Nella stanza d’ospedale Massimo guardava, ingrandita per lui, la fotografia del matrimonio con Monica: Andrea la porterà con sé il 23 settembre quando si laureerà.
Il giornalista conclude l’articolo con un’immagine: “…l’uomo che ha vissuto vent’anni ballando con gli occhi”.
È una conclusione molto bella e che suscita diversi pensieri.
Il primo è sulla scelta del giornale di non collocare la notizia in un inserto o in un supplemento ma di inserirla nell’insieme delle notizie del giorno e questo è il segno di un giornalismo che ritiene suo compito anche quello di offrire ai lettori l’occasione per una riflessione sulla vita e sulla morte.
Un secondo pensiero è sul messaggio che viene da una storia di vita della porta accanto, una storia che si incontra là dove si cammina. Una storia che invita ad ascoltare l’uomo che parla con gli occhi, l’uomo che chiede di essere guardato con gli occhi di chi ama oltre che con quelli di chi sa cos’è lo stato vegetativo irreversibile.