Agroalimentare, sempre più strategico. Occorre compensare istanze particolari con interessi generali
L’Italia può contare su una risorsa da primato mondiale ma comunque deve investire per superare le fragilità presenti.
Le vendite all’estero di prodotti agroalimentari italiani nei primi sette mesi del 2020 sono cresciute. E’ il segno della vitalità e della competitività del settore, soprattutto se si pensa che, nello stesso periodo, il resto dell’economia ha segnato il passo (esclusa la produzione di medicinali). In particolare, poi, alcuni comparti, come quello ortofrutticolo, hanno raggiunti traguardi importanti. Eppure, i produttori non sono tranquilli. I buoni numeri possono nascondere fragilità contingenti e strutturali che non sono state affrontate.
Coldiretti ha effettuato un’analisi puntuale (su dati Istat), dell’andamento delle vendite da gennaio a luglio. In controtendenza rispetto all’andamento generale l’alimentare – dice l’organizzazione agricola – è possibile registrare un aumento delle esportazioni agroalimentari del 3,5% secondo solo a quello dei prodotti farmaceutici con 10,9%. Siamo ancora una volta ai primi posti di fatto in tutti i comparti strategici dell’agroalimentare. I numeri sono lì a sintetizzare la realtà. La filiera agroalimentare vale, secondo calcoli recenti, circa 538 miliardi di euro, 3,8 milioni di posti di lavoro, il 25% del Pil e conta 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.
Ciò nonostante, il Paese dipende ancora dall’estero per alcune trasformazioni alimentari. Ed è dal connubio tra emergenza Covid-19 e scambi alimentari che – forse -, si è capito di più dell’importanza anche strategica di avere una forte agricoltura ed un efficiente sistema agroalimentare. Per questo i coltivatori diretti non perdono occasione per dire che l’Italia può contare su una risorsa da primato mondiale ma comunque deve investire per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali. Hanno ragione.
Per capire meglio, basta pensare all’allarme che serpeggia nel comparto dell’ortofrutta. Fruitimprese – una delle più importanti aggregazioni di produttori del settore -, ha spiegato che la bilancia commerciale dell’ortofrutta del primo semestre 2020 non si discosta dall’andamento del primo trimestre: crescita in valore (+7,6% quasi 163 milioni in più) mentre i volumi calano del 6%. Il valore dell’export supera comunque i 2,3 miliardi di euro mentre il saldo positivo degli scambi va oltre i 102 milioni con un aumento del 39% circa. Nel semestre caratterizzato dal lockdown da pandemia, fanno notare i produttori, “è interessante notare che non vi sono state ripercussioni negative sull’export che, invece, ha incrementato il fatturato”. Detto in altre parole, le imprese hanno saputo reagire alle nuove difficoltà. Ma adesso si sentono “dimenticate dalla politica”. Sempre i produttori spiegano come le loro imprese non possano beneficiare della decontribuzione prevista dal Decreto Rilancio, mentre anche il credito di imposta per le spese di sanificazione ed acquisto dei dispositivi di protezione pare sia passato “dal 60% annunciato al 9% dei costi sostenuti”.
Certo, quello dell’ortofrutta è un caso (tra tanti), che dimostra tuttavia quanto sia complessa e complicata la situazione. I produttori agricoli e agroalimentari lamentano scarsa attenzione. Le istituzioni devono attuare politiche eque per tutti, prestare attenzione al particolare come al generale. E’ certa, tuttavia, la strategicità del settore agroalimentare. Un fatto incontrovertibile, di cui tutti devono tenere conto.