Accordo latte, un esempio. L’intesa raggiunta tra tutte le componenti della filiera, indica un metodo che può valere anche per altri comparti
Avere cognizione della realtà che si ha davanti, fare tutti un passo indietro dagli egoismi di parte, cooperare tutti per risollevare le sorti della filiera stessa.
Cercare e trovare strade nuove per far crescere l’agroalimentare. Al di là del risultato per il comparto, l’accordo raggiunto qualche giorno fa sul prezzo del latte rappresenta l’indicazione di un metodo che può essere applicato anche ad altri settori della filiera agroalimentare nazionale. Un esempio virtuoso, insomma, che ha come ultimo obiettivo quello di consolidare una parte dell’economia nazionale che certamente colleziona successi, ma che comunque continua ad essere fragile sotto molto punti di vista.
L’intesa per il settore lattiero-caseario non contiene solo un aumento di prezzo destinato agli allevatori, ma, per la prima volta, raccoglie l’approvazione non solo delle due parti principali in causa – allevamenti e industrie di trasformazione -, ma anche della distribuzione organizzata, l’altro grande e importante anello della catena agroalimentare. E non solo, perché quanto stabilito dalla tre parti prevede anche un meccanismo nel quale la distribuzione versa dei soldi all’industria di trasformazione che, a sua volta, li versa integralmente alle imprese zootecniche aggiungendo anche qualcosa. Potrebbe chiamarsi “solidarietà di filiera”. Più semplicemente, quanto stabilito è il risultato di un’analisi attenta delle condizioni della produzione lattiera in Italia (alle prese con un mercato comunque complesso e con costi di produzione in forte aumento), che non lasciano molto spazio a speculazioni di parte.
Hanno cioè certamente ragione i coltivatori diretti a sottolineare che l’intesa salva 26mila stalle da latte italiane che stanno subendo un rilevante aumento dei costi di produzione con un rincaro delle materie prime e dei foraggi, ma che soprattutto esprimono un valore di oltre 16 miliardi di euro, occupano oltre 100.000 persone e generano una ricaduta positiva in termini di reddito e coesione sociale nel Paese e che rappresenta, di fatto, il primo comparto dell’agroalimentare nazionale. Parafrasando una indicazione già usata per le piccole e medie imprese in generale, viene spesso detto che quando chiude una stalla “si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate”.
Accordo fatto, dunque, per il latte. Accordo modello, è stato detto. E l’indicazione da seguire, valida anche per altre filiere produttive agroalimentari, sta proprio nel metodo: avere cognizione della realtà che si ha davanti, fare tutti un passo indietro dagli egoismi di parte, cooperare tutti per risollevare le sorti della filiera stessa. Certo, ogni prodotto agricolo ha una sua storia (fatta non solo di territori e tecniche produttive, ma anche di uomini), ma quanto compiuto per la zootecnica bovina da latte potrebbe essere replicato per buona parte dell’ortofrutta e per alcune della grandi coltivazioni (le commodities) che proprio in questo periodo mostrano forti segni di sofferenza insieme a quelle orticole e frutticole (anche se per motivi diversi).
Cooperare per superare insieme scogli che altrimenti potrebbero davvero affondare la nave. Ecco quello che potrebbe essere addirittura indicato come “insegnamento” che deriva dall’accordo sul latte 2021. Che non sia stato facile raggiungerlo è vero, ma lo è altrettanto vero il fatto che sia possibile continuare con questa modalità di lavoro. Da oltrepassare, certamente, sono non solo difficoltà tecniche ma anche gli egoismi di parte che per molto tempo hanno frenato lo sviluppo.