Vino, prezioso e buono. La vitivinicoltura italiana rappresenta ancora un settore fondamentale dell’agroalimentare
Ottima e buona, a seconda delle aree, la qualità. E ottimo e buono pare sia il mercato.
Vino italiano sempre più prezioso, in casa e fuori casa. In un momento delicato come quello che anche l’agroalimentare sta vivendo, le indicazioni che arrivano dalla vendemmia e quelle dei mercati esteri, fanno ben sperare i vitivinicoltori che devono fare i conti anche con mesi di blocco del mercato dovuti a Covid-19. Del passato, ma soprattutto del futuro, si parlerà molto in questi giorni a Verona, in occasione dell’edizione 2021 di Vinitaly: un passo tra i molti positivi, visto che la ripresa delle manifestazioni “in presenza” è uno di quei segni che più di altri mancavano al comparto.
Vino prezioso, dunque, a partire dalla vendemmia di quest’anno che promette una minore quantità ma molto spesso una qualità ottima. Stando agli ultimi dati disponibili, quelli di Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini, dai vigneti dello Stivale dovrebbero arrivare circa 44,5 milioni di ettolitri (-9% rispetto ai 49 milioni del 2020). Ottima e buona, a seconda delle aree, la qualità. E ottimo e buono pare sia il mercato. Sempre Ismea e Unione Italiana Vini in una nota recente hanno fatto notare come “l’Italia del vino cavalchi appieno la tumultuosa ripresa della domanda mondiale”. Le esportazioni vinicole tricolori hanno infatti in sette mese fatto registrare un +6% in quantità e addirittura un +15% in valore. Numeri da primato che fanno sorridere i produttori, così come quelli del mercato interno che gode finalmente della riapertura dei locali.
Ma il futuro del vino italiano si gioca sempre di più in tutto il mondo, come ha fatto notare Coldiretti che proprio al Vinitaly effettuerà un “punto” della situazione e soprattutto delle prospettive. Che potrebbero in qualche modo essere messe in forse dai continui colpi bassi della concorrenza. Oltre che dalle regole europee Basta pensare, a questo proposito, alla vicenda del Prosek croato, tutt’altro che conclusasi e che potrebbe legittimare un temibile concorrente del Prosecco italiano le cui esportazioni valgono da sole circa un miliardo di euro. Anche per il vino, d’altra parte, si stanno profilando gli stessi problemi già registrati per il resto dell’agroalimentare nazionale: i costi e il reperimento delle materie prime. Da un’indagine interna al segmento cooperativo – condotta da Alleanza Cooperative Agroalimentari -, “i costi dei materiali necessari per l’impianto dei vigneti, come legno, cemento, ferro ed alluminio hanno avuti incrementi fino al 70%”. Un balzo in alto che ha il solo effetto di erodere il reddito ai produttori e rendere la situazione difficile in termini di tenuta economica e competitività delle imprese. Che viene anche minata dall’aumento dei costi dei noli marittimi e dalla carenza e rincaro che ha riguardato anche i container trasportati via nave. E che pesa non solo sulle etichette blasonate e rinomate, ma soprattutto sui vini non a denominazione che non per questo devono essere di second’ordine e che, anzi, in molti caso costituiscono l’ossatura agroalimentare di aree importanti dello Stivale.
E’ così una situazione più che complessa quella che il sistema delle vitivinicoltura nazionale si trova ad affrontare: costi di produzione in salita, prezzi di vendita non sempre adeguati, una accesa concorrenza (spesso sleale), la necessità di mantenere alta la qualità del prodotto. L’obiettivo in vista, tuttavia, è più che importante. Al di là del significato culturale e ambientale della vitivinicoltura, gli operatori del comparto puntano alla fine dell’anno ad ottenere un giro d’affari di 11 miliardi di euro circa (+9% rispetto al 2020). Sarebbe davvero un buon risultato visto che Covid-19 è costato al vino nostrano circa tre miliardi per un crollo medio dei fatturati del 15%.