Viaggiando in sella al tribiscolo. Un ricordo dal film "La strada" di Fellini
Osservando oggi la replica del “tribiscolo” realizzata dal figlio di Ugo, Angelo, e dal nipote Francesco, sembra di vedere scorrere davanti agli occhi la strada che quel mezzo rabberciato e strampalato ha percorso sulla pellicola.
“All’‘infaticabile’ Colloridi in ricordo di tanti viaggi musicali nel mondo di Nino Rota. Federico Fellini”. “Allo sfaticato e caro Ernesto in ricordo di tanti viaggi nel mondo di Fellini. Nino R.”. Sono due dediche intrise di ironia, quelle che accompagnano uno scatto in bianco e nero, in cui i due premi Oscar sono furtivamente immortalati mentre parlano in sala prove. Dedicata a Ernesto Colloridi, per oltre vent’anni consulente musicale e braccio destro di Nino Rota, questa foto – recentemente pubblicata su Facebook – è uno dei tanti tasselli grazie ai quali oggi, attraverso il mondo virtuale dei social, è possibile ricostruire il mondo reale in cui Fellini ha ambientato il mondo onirico e neorealista dei suoi film.
Girovagando qua e là su Facebook incontriamo, ad esempio, sulla pagina del Museo Taruffi di Bagnoregio, il volto sorridente di Nevina Scorsino, che in maniera invidiabile ha superato il traguardo delle novanta primavere. La signora Nevina è stata, con il marito Ugo Trucca, uno dei volti de “La strada” (1954), il film che valse a Fellini il suo primo Oscar (1957). Nevina e Ugo si erano sposati da appena un paio di anni, quando vengono invitati dal regista riminese ad indossare nuovamente gli abiti del giorno del loro sì, per girare la scena della festa di matrimonio sull’aia del casale dell’Acquarossa. Oggi, quegli abiti sono conservati in un’ala del museo, insieme ad una replica fedele di quello che divenne fin da subito – insieme a Giulietta Masina (Gelsomina), Anthony Quinn (Zampanò) e Richard Basehart (il Matto) – uno dei protagonisti de “La strada”: il motocaravan di Zampanò. Fellini lo aveva adocchiato durante un sopralluogo nel paese del Viterbese dove venne girato il film. Il “tribiscolo” (come lo aveva battezzato il regista riminese), era stato costruito da Ugo Trucca nell’immediato dopoguerra, utilizzando materiali di recupero. La motocicletta, una Sertum 500, era stata abbandonata alla fine della guerra, priva della ruota posteriore, nelle campagne della zona. Il pianale, invece, era stato ricavato dall’artigiano bagnorese da una Fiat 1100 data alle fiamme e rinvenuta poco distante dalla motocicletta. Per alcuni anni il motocarro venne usato da Trucca per lavoro. Poi iniziò a rompersi ed allora venne accantonato, in attesa della demolizione. Non appena lo vide, Fellini si innamorò subito di quel rottame e si interessò per acquistarlo. Il regista chiese a Trucca di apportare alcune modifiche al mezzo: venne realizzato il telone, che con la centinatura, gli diedero la sembianza di baracca ambulante. In quegli anni, in cui lo stipendio medio mensile di un operaio era di circa 30.000 lire, Fellini acquistò da Trucca il “tribiscolo” per 20.000 lire (il doppio della somma per cui – nel film – Gelsomina viene “ceduta” dalla madre a Zampanò). Trucca non sistemò solo il “tribiscolo” secondo le indicazioni di Fellini, ma partecipò anche alle riprese, avviando e guidando il Sertum prima di ogni scena e, in alcuni casi, fece anche da controfigura ad Anthony Quinn.
Osservando oggi la replica del “tribiscolo” realizzata dal figlio di Ugo, Angelo, e dal nipote Francesco, sembra di vedere scorrere davanti agli occhi la strada che quel mezzo rabberciato e strampalato ha percorso sulla pellicola. Sullo sfondo, in lontananza il tema d’amore, intonato da Gelsomina con la sua tromba. E pare di vederla, Gelsomina, parlare nella notte con il Matto.
“Io non servo a nessuno – dice disperata tra le lacrime – che ci sto a fare in questo mondo…”. E il Matto le risponde: “Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro. Tu non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso lì, per esempio”. “Quale?” “Questo… Uno qualunque… Be’, anche questo serve a qualcosa: anche questo sassetto”. “E a cosa serve?” “Serve… Ma che ne so io? Se lo sapessi, sai chi sarei?” “Chi?” “Il Padreterno, che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi può saperlo? No, non so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché, se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. Almeno credo. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tu’ testa di carciofo”.