Utero in affitto. Terragni: “È un attentato alla civiltà umana”
“Mercantilizzare la relazione madre-figlio costituisce un attentato alla nostra umanità”. Ne è convinta Marina Terragni, saggista e giornalista, da anni in prima linea contro la maternità surrogata. E sul ddl che dichiara questa pratica “reato universale” dice: “Le maggiori associazioni femministe del mondo e molte intellettuali femministe radicali lo attendono come una manna”
“Se si consente al mercato e ai soldi di intervenire nella relazione tra la madre e il figlio, sulla quale si fonda la civiltà umana, è la fine del mondo”. Non usa giri di parole la giornalista e saggista Marina Terragni. Dopo l’evento “Fermiamo il mercato dei figli”, organizzato il 4 luglio al Parlamento europeo da alcune associazioni che promuovono il diritto alla vita e la tutela della famiglia, e mentre l’Aula della Camera si appresta a votare sul disegno di legge che introduce il “reato universale” di maternità surrogata prevedendo la perseguibilità del cittadino italiano che all’estero ricorre a questa pratica, facciamo il punto con Terragni, da anni in prima linea nella battaglia contro l’utero in affitto. “La relazione madre-figlio – esordisce – è fondativa non solo dell’identità dell’individuo – e sappiamo bene come i pilastri della personalità si costruiscano in questa relazione – ma in essa si gettano anche le fondamenta delle civiltà umane. Non ci si può entrare a gamba tesa perché uno desidera, l’altro vuole, un terzo pretende…”. Insomma,
“Mercantilizzare questa relazione intoccabile costituisce un attentato all’ambiente umano”.
Una pratica che non solo mette a rischio la salute psicofisica della madre surrogata, ma costituisce anche un grave trauma per il bambino.
Certo. La gestante viene privata per contratto dei suoi diritti fondamentali e bombardata di ormoni. Le agenzie più “prestigiose”, chiamiamole così, di California, Canada e Israele le mettono a disposizione anche un’assistenza psicologica – di fatto un vero e proprio lavaggio del cervello – durante la quale le viene continuamente ribadito, anche perché potrebbe avere dei cedimenti, che il bambino non è suo e perciò non vi si deve attaccare. In questo modo, secondo loro, il processo del distacco dovrebbe essere più semplice e meno doloroso. Ma anche
il bambino, strappato alla nascita dalla madre, subisce una violenza inaudita.
Si parla tanto di tutelare i diritti dei bambini. Giustissimo. Non si dice però che quando vengono registrati anche solo con il genitore biologico, che di solito è il padre, questi bambini godono di tutti i diritti di cittadinanza, e soprattutto si tace sul fatto che vengono espropriati, in cambio di denaro, di diritti fondamentali come il diritto alla verità sulle origini e il diritto al contatto con la propria mamma.
Il disegno di legge all’esame dell’Aula di Montecitorio può costituire un efficace deterrente?
Sì. Stiamo già assistendo alla corsa contro il tempo di coppie eterosessuali che si stanno precipitando in Ucraina per non correre il rischio di dover pagare la sanzione prevista dal provvedimento, se verrà approvato, che va da 600mila ad un milione di euro. Se si considera che nelle cliniche californiane la pratica dell’utero in affitto può arrivare a costare anche 200mila dollari, il rischio di una spesa suppletiva legata alla sanzione ridurrebbe automaticamente la platea dei “genitori d’intenzione” trasformando una procedura oggi riservata a persone benestanti in un affare per super ricchi. Inoltre, tutte le maggiori associazioni femministe No Gpa (no gestazione per altri, ndr) del mondo – da Stop surrogacy now, a Ciams (Coalition international pour l’abolition de la maternité de substition), a Finaargit (Rete femminista internazionale contro ogni riproduzione artificiale, ideologia gender e transumanesimo) o alla Japan Coalition – oltre ad autorevoli intellettuali femministe radicali come l’americana Gena Corea, saggista e collaboratrice del New York Times, o la filosofa Sylviane Agacinski, neo-eletta esponente dell’Académie Française, stanno aspettando questa legge come la manna e stanno guardando con attenzione a quello che succede in Italia.
Il fatto che un Paese del G7 e del G20 adotti, se verrà approvata, una strategia legislativa così severa potrebbe fornire un modello per altre legislazioni nazionali e conferire maggiore forza e autorevolezza a possibili azioni presso organismi sovranazionali.
Intanto, lo scorso 22 giugno la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro l’Italia da parte di coppie omo ed eterosessuali che pretendevano la trascrizione automatica all’anagrafe dei figli nati con l’utero in affitto, indicando come risposta la via dell’adozione in casi particolari (stepchild adoption).
Dopo avere di fatto affermato il diritto di ogni Paese di decidere in autonomia in materia, la Corte ha riconosciuto che lo strumento dell’adozione in casi particolari, di cui non il Parlamento ma la giurisprudenza ha dotato le persone bisognose di garantire la continuità affettiva, è sufficiente a garantire la relazione tra il genitore “d’intenzione” e il bambino. In altri termini ha detto con chiarezza: “Se rifiutate questo strumento, è un problema vostro”.
Secondo lei c’è consapevolezza nell’opinione pubblica della reale posta in gioco?
Mi occupo forse da vent’anni della questione. Certamente tutte le implicazioni di cui stiamo parlando non sono note al grande pubblico, ma negli anni c’è stato un grande salto di consapevolezza. Oggi percepisco con chiarezza
un’istintiva resistenza nella gente di fronte alla maternità surrogata perché si comprende che si va a toccare qualcosa di intoccabile.
Nonostante si tenti, anche attraverso autorevoli quotidiani nazionali, di disorientare l’opinione pubblica e di confondere le acque sollevando le questioni della cosiddetta “gestazione altruistica” e dei diritti dei bambini, quando si smontano queste argomentazioni dimostrando che i diritti di questi bambini sono uguali a quelli di tutti gli altri, tra i quali anche i figli delle ragazze madri, e che “l’altruistica” non esiste, le persone non hanno più dubbi nel respingere questa pratica.