Una speranza per la fertilità post-chemioterapia

Nonostante le promettenti prospettive, questa procedura solleva questioni sia mediche che etiche

Una speranza per la fertilità post-chemioterapia

Un intervento pionieristico nel campo della medicina riproduttiva maschile è stato recentemente eseguito su un paziente poco più che ventenne. Per la prima volta nella storia, un giovane uomo si è sottoposto a un trapianto di cellule staminali spermatogoniali, i precursori degli spermatozoi, nel tentativo di ripristinare la fertilità compromessa da trattamenti oncologici ricevuti durante l’infanzia.

Il paziente aveva subito cure per un tumore osseo quando era bambino. Prima di sottoporsi alla chemioterapia, grazie alla lungimiranza del team medico dell’Università di Pittsburgh, gli era stato prelevato un campione di queste preziose cellule staminali dai testicoli, per poi crioconservarlo. Questo approccio preventivo ha permesso, a distanza di anni, di tentare questo innovativo intervento.

I dettagli del trapianto sono stati descritti in un articolo pubblicato sul server medRxiv, attualmente in attesa di revisione da parte della comunità scientifica. Se la procedura dovesse rivelarsi efficace, potrebbe rappresentare una svolta per molti uomini che hanno affrontato trattamenti chemioterapici in giovane età e che oggi si trovano a combattere con l’infertilità.

I trattamenti oncologici, pur essendo dei “salvavita”, hanno un effetto collaterale significativo: non colpiscono selettivamente solo le cellule tumorali, ma danneggiano anche quelle sane in rapida divisione. Le cellule staminali spermatogoniali rientrano in questa categoria vulnerabile. Presenti nei testicoli prima della pubertà, queste cellule sono programmate per maturare in spermatozoi durante l’adolescenza, stimolate dall’aumento dei livelli di testosterone.

Quando queste cellule vengono danneggiate prima di poter completare il loro ciclo di sviluppo, il risultato è spesso un’infertilità permanente. La situazione è particolarmente critica per i pazienti in età prepuberale che, a differenza degli adulti, non hanno la possibilità di crioconservare spermatozoi già maturi prima di iniziare le terapie oncologiche.

La tecnica utilizzata era stata finora sperimentata con successo solo in modelli animali, principalmente primati e topi, che dopo il trapianto erano riusciti a generare una prole sana. Nel caso in questione, quando il paziente era ancora bambino, un’équipe del Centro Medico dell’Università di Pittsburgh aveva prelevato le sue cellule staminali spermatogoniche usando un ago guidato da ultrasuoni. Il prelievo era avvenuto dalla rete testicolare, una complessa struttura di tubuli interconnessi all’interno del tessuto connettivo del testicolo, che collega i tubuli seminiferi dove vengono prodotti gli spermatozoi. Una volta diventato adulto, l’uomo ha potuto sottoporsi alla procedura inversa: le cellule, mantenute in crioconservazione per anni, sono state reintrodotte nei tubuli seminiferi. L’obiettivo era che queste cellule potessero maturare e iniziare a produrre spermatozoi, replicando i processi naturali che si verificano durante la pubertà.

I medici hanno confermato che l’intervento non ha provocato danni ai tessuti testicolari e che i livelli ormonali del paziente sono rimasti nella norma. Tuttavia, al momento della pubblicazione dello studio, non è stata ancora rilevata una produzione di spermatozoi. Gli scienziati ipotizzano che questa assenza possa essere dovuta al numero limitato di cellule staminali che era stato possibile prelevare inizialmente.

Il team medico continuerà a monitorare i progressi nella maturazione degli spermatozoi con esami semestrali, per valutare l’efficacia a lungo termine della procedura.

Nonostante le promettenti prospettive, questa procedura solleva questioni sia mediche che etiche. Come ogni trapianto, esiste un rischio, seppur minimo, di rigetto con possibili reazioni infiammatorie. Inoltre, le cellule prelevate in un periodo in cui era presente una neoplasia potrebbero teoricamente contenere mutazioni genetiche e potenzialmente dare origine a nuovi tumori una volta reintrodotte nell’organismo.

Si aggiunge anche una dimensione etica legata al consenso informato: trattandosi di un prelievo eseguito durante l’infanzia, è difficile stabilire se il paziente possa realmente esprimere un consenso pienamente consapevole e comprendere completamente rischi e benefici di un percorso che si estende nell’arco di anni.

Nonostante queste considerazioni, il primo trapianto di cellule staminali spermatogoniali nell’uomo rappresenta un passo importante verso nuove strategie terapeutiche per preservare la fertilità maschile dopo trattamenti oncologici, offrendo una speranza concreta a molti giovani pazienti.

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Fonte: Sir