Una comunità educante. Il ruolo della scuola nella società attuale
La capacità critica del pensiero dei nostri ragazzi si sviluppa in maniera direttamente proporzionale alle competenze acquisite e non per addizione di conoscenze.
Nei giorni scorsi a Teramo, in occasione del IV Forum Internazionale del Gran Sasso, promosso dalla diocesi in collaborazione con il ministero dell’Università e Ricerca e con il ministero degli Affari esteri e Cooperazione internazionale, si è riflettuto sul ruolo della scuola nella società attuale.
All’evento, inserito nel calendario delle iniziative speciali della Presidenza italiana del G20 e intitolato “Allargare gli orizzonti della carità per una nuova progettualità sociale”, è intervenuto anche il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi.
Bianchi ha parlato di una “scuola che si pone al centro di una comunità” per rifondarne “i valori essenziali” e rifiuta di essere “un accessorio infrastrutturale della società”. Quest’ultimo aspetto, per la verità, è stato la diretta conseguenza di una inadeguata valorizzazione dell’istituzione scolastica che negli ultimi decenni ha caratterizzato le scelte politiche del nostro Paese. Importante, quindi, che a rimarcarlo sia proprio un ministro della Repubblica.
La mancata polarizzazione della scuola come luogo di educazione, istruzione e cultura, nonché di aggregazione sociale, ha purtroppo connotato il percorso scolastico di eccessivo nozionismo e tecnicismo, mortificandone gradualmente il respiro pedagogico e gli intenti squisitamente educativi.
“Nell’epoca di internet c’è ancora posto per la scuola, certamente non più della scuola che viveva di nozioni, di informazioni. Noi oggi siamo affogati di informazioni, travolti da informazioni. Non a caso si usa la metafora del ‘si naviga su internet’: la contrometafora è ‘si naufraga su internet’”. La sottolineatura del Ministro rimanda implicitamente all’apprendimento costruito per competenze verso il quale la scuola dovrebbe orientare il proprio curricolo secondo le Raccomandazioni dell’Unione Europea.
La capacità critica del pensiero dei nostri ragazzi si sviluppa in maniera direttamente proporzionale alle competenze acquisite e non per addizione di conoscenze, spesso però la differenza tra questi processi non è chiara neppure agli addetti ai lavori.
Le conoscenze costituiscono la parte nozionistica dell’apprendimento. In passato l’obiettivo della scuola era principalmente quello di trasmettere sapere in modo da permettere la costruzione di un bagaglio culturale personale. Era però una scuola d’altri tempi in una società che ormai non esiste più, scardinata dai ritmi velocissimi del progresso tecnologico.
Le competenze, invece, rappresentano la capacità di applicare le conoscenze apprese per risolvere problemi e portare a termine compiti. Il processo di acquisizione di queste ultime chiede un ruolo attivo da parte del discente e interventi non meramente “trasmissivi” da parte del docente. Il percorso che porta all’acquisizione delle competenze è formativo e mette in gioco la totalità dell’individuo, senza trascurare le sue attitudini e le sue aspirazioni. Per questo motivo la formazione deve assumere un tratto anche orientativo, conducendo lo studente al riconoscimento delle proprie vocazioni interiori.
Quando si parla di competenze si fa riferimento a otto abilità che riguardano la comunicazione (alfabetica funzionale, multilinguistica, digitale), l’ambito tecnologico-scientifico, le capacità imprenditoriali, nonché la consapevolezza culturale e la cittadinanza. Non ultime le abilità che attengono alla sfera personale, sociale e alla capacità di “imparare a imparare”. Esse, dunque, riguardano strettamente la realizzazione personale, l’integrazione e partecipazione sociale e l’inserimento nel mondo del lavoro. Consentono di “trovare il proprio percorso anche nel mare tumultuoso della vita di oggi”, ha sottolineano il ministro Bianchi con una efficace metafora.
Il riferimento alla scuola come comunità educante appare, inoltre, essenziale in un momento storico in cui i legami di solidarietà tra gli individui si indeboliscono e, contemporaneamente, si assiste a certe derive egolatriche, fatte di ossessioni e mode più che di reali ricerche identitarie.