Una bellezza senza limiti. La natura protagonista in gran parte dei capolavori della letteratura
La natura come madre viva e anche come bellezza da difendere contro le aggressioni umane è una concezione antichissima, e non è un caso che sia presente in molte delle grandi opere della nostra letteratura e dell’arte.
Quel “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore” di papa Francesco ripreso perfino nelle dichiarazioni programmatiche del presidente del Consiglio Draghi al Senato, ha fatto riflettere sulla situazione attuale del rapporto uomo-natura. Perché se un Papa scrive una intera enciclica sulla questione, se un capo del governo lo prende ad esempio, vuol dire che è davvero l’ora di cambiare, non tanto e non solo di riflettere, perché quell’ora si sta facendo tarda, direbbe il Nobel Bob Dylan in “All along the watchtower”. L’ecosistema non può attendere ulteriormente.
In realtà l’interesse per la natura non è di oggi, e questo rende più amaro il rincrescimento, perché spesso i politici hanno pensato che fossero solo favole di poeti e parolai. Come Francesco d’Assisi, talmente “parolaio” che invece di predicare e basta l’amore per il dono di Dio, il creato, si spogliò di tutto per andarci a vivere realmente in quella natura, il che non è propriamente un predicare bene e razzolare male. Lasciando oltretutto uno dei più affascinanti documenti poetici di tutti i tempi, quel Cantico di Frate Sole (questo probabilmente il primo titolo della tradizione) che sarà un punto di riferimento -fin dal titolo- per l’enciclica Laudato sì.
La natura come madre viva e anche come bellezza da difendere contro le aggressioni umane in effetti è una concezione antichissima, nata prima ancora delle speculazioni edilizie e delle devastazioni industriali, e non è un caso che sia presente in molte delle grandi opere della nostra letteratura e dell’arte. Dante risale alle origini e mette in relazione lo splendore primaverile della natura con l’Eden negli ultimi canti del Purgatorio, e Petrarca non può non paragonare il fascino di Laura alla bellezza della terra di Provenza, le sue acque e i suoi fiori. Se è per questo anche il più pragmatico Boccaccio mette la natura della campagna presso Firenze in rapporto con l’ordine e la cura della parola contro il disordine della pandemia. Ma pure Ariosto e Tasso non sono riusciti a sfuggire al fascino sempre vivo della bellezza della terra, dei suoi alberi, dei fiori, del lampeggiare delle acque dei fiumi, così come Manzoni è “costretto” dal fascino della natura ad aprire il suo capolavoro con la celebre, articolata, sapiente descrizione della natura lombarda: una zona non immaginata retoricamente come semplice abbellimento, perché quei posti, non lontani da Lecco, Alessandro li conosceva bene, avendo passato “gran parte dell’infanzia e della puerizia”, come scrisse lui stesso, in una villa presso Pescarenico. Un romanzo di redenzione nel qui e nell’ora prende il via dalla bellezza dei monti, dai “cocuzzoli in fila”, dai “poggi” e dai “valloncelli”, il che era in linea con tutta una sensibilità che veniva dalla fine del Settecento e che soprattutto nel romanticismo aveva visto madre natura come co-protagonista di romanzi e poesie. Si pensi anche a geni isolati come Emily Dickinson, che riesce a trasformare i boccioli, i rami, le erbe del suo giardino in una sorta di ritorno al Giardino originario. E come non pensare alla selvaggia natura di “Cime tempestose” di Emily Brontë come ad una sorta di interiorizzazione della furia della loro passione e del loro destino?
Anche ai nostri tempi però la natura la fa da padrona, anzi, da madre e maestra, anche se purtroppo per ora solo in letteratura, ad esempio ritornando come memoria di qualcosa che abbiamo perduto e che però possiamo intravedere nello spettacolo che il buon Dio ci mette tutti i giorni sotto gli occhi: “Cosa ho visto, cosa ho visto” si sorprende a pensare la nonna di “Le cure domestiche”, capolavoro della scrittrice statunitense Marilynne Robinson, a contatto semplicemente con il solito vecchio giardino.
Aveva ragione il nostro Pascoli, la natura mostra la sua bellezza ineguagliabile solo a chi torna un po’ fanciullo, nel senso del recupero della nostra originaria capacità di farci risuonare dentro l’emozione per il lampo infinitesimale del ritorno alla creazione.