Un periodo difficile. Cronache di promesse in campagna elettorale
La gravità della situazione prescinde dai giochi di prestigio propagandistici di cui la campagna elettorale in corso sta offrendo un ampio repertorio.
Gli sviluppi della situazione sul piano politico, sociale ed economico non cessano di confermare, purtroppo, quanto sia stata fuori luogo e fuori tempo la crisi di governo che ha portato alle ormai imminenti elezioni del 25 settembre. Si è assistito persino allo spettacolo paradossale dell’invocazione di un intervento di Draghi sulle questioni più gravi e urgenti, con particolare enfasi proprio da parte delle forze politiche che lo hanno osteggiato o che comunque hanno provocato l’affossamento dell’esecutivo da lui guidato e ancora in carica per quelli che ritualmente si definiscono “affari correnti”. Una formula che risulta drammaticamente inadeguata rispetto al contesto in cui si trova a operare il governo dimissionario. L’appello a Draghi si è rapidamente smorzato forse per un sussulto di pudore da parte di certi partiti o più probabilmente perché con l’avvicinarsi della consultazione popolare una contraddizione così evidente sarebbe stata dannosa in termini di raccolta del consenso.
Sta di fatto che la gravità della situazione prescinde dai giochi di prestigio propagandistici di cui la campagna elettorale in corso sta offrendo un ampio repertorio. Era ampiamente prevedibile, del resto, che l’autunno e l’inverno sarebbero stati molto difficili, soprattutto (ma non esclusivamente) in seguito alle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma con la stessa leggerezza con cui si è privato il Paese di un governo nella pienezza dei suoi poteri proprio in una fase cruciale – il nuovo esecutivo, per le procedure istituzionali necessarie a norma di Costituzione, non arriverà prima di novembre – nei discorsi a uso elettorale si moltiplicano promesse senza che si capisca da dove possano essere recuperati i fondi per realizzarle, al di fuori di quanto già disposto con il Pnrr. Tanto più che la modalità ordinaria e principale con cui uno Stato si approvvigiona delle risorse necessarie per il suo funzionamento, cioè il prelievo fiscale, è essa stessa oggetto di annunci tanto roboanti quanto improbabili. E se il vocabolo “tasse” nel dibattito pre-elettorale suona come una parolaccia, ce n’è un altro che è praticamente scomparso: “sacrifici”. Non ci si può illudere (o far illudere) che si possa andare avanti come se nulla fosse cambiato. Lo si era già detto in rapporto alla pandemia, ma ci si è ricaduti ancora una volta. Certo, quando si parla di sacrifici bisogna tenere ben presente che c’è chi ne ha fatti già tanti e chi invece non ne ha fatti per niente o addirittura sta meglio di prima. E anche a proposito di tasse è doveroso distinguere tra chi le tasse le paga e le ha sempre pagate e chi invece sistematicamente le evade. Ma l’equità e la riduzione delle disuguaglianze richiedono impegni precisi e realistici, con un’assunzione collettiva di responsabilità, non cambiali in bianco affidate al demiurgo di turno. Quando le promesse a buon mercato riveleranno la loro vacuità, saranno come sempre i più deboli e meno garantiti a pagare il prezzo più alto.