Un’occasione da non sprecare. Come spenderemo i 200 e più miliardi di euro che arriveranno grazie al Recovery Fund?
Ogni progetto beneficato dal Recovery Fund dovrà anzitutto rientrare tra tre macro-obiettivi: sostenibilità, tutela ambientale, pari opportunità.
Già: ma come spenderemo i 200 e passa miliardi di euro che arriveranno grazie al Recovery Fund? Non è una domanda oziosa, ma la domanda delle domande. Perché i soldi arriveranno sì, ma a determinate e stringenti condizioni. Che, se non saranno rispettate, bloccheranno pure i fondi in arrivo.
Qui sta il punto, e la politica infatti se ne è accorta in queste ultime settimane. Che progetti abbiamo in cantiere? E abbiamo la struttura organizzativa adeguata per realizzarli? Perché più di un dubbio sorge nel considerare che da anni non sappiamo spendere i fondi che l’Unione ci mette a disposizione per il Sud, per i giovani, per l’occupazione, per l’ambiente…
Tutte le volte ci scandalizziamo, tutte le volte però non ci chiediamo perché noi italiani – che avremmo pure tanti difetti, ma fessi mai – ci facciamo scappare quelle incredibili opportunità.
C’è un altro esempio che dice tutto: la rete telefonica in fibra ottica doveva arrivare dappertutto, anche nelle zone commercialmente più sfavorite (il classico investimento che guarda più all’interesse pubblico che al ritorno economico). Dopo tre anni dal via, non siamo nemmeno all’approvazione dei progetti.
Un altro dato sconforta: nella realizzazione di un’opera pubblica, più della metà del tempo per realizzarla viene “sprecato” nelle fasi procedurali. Perché il Codice degli appalti non funziona e nessuno lo migliora. Perché la giustizia, se qualcosa vi cade dentro, invischia tutto per anni; perché i Tar bloccano a macchia di leopardo; perché i dati non si condividono tra diverse amministrazioni; perché i tecnici spesso appunto sono di estrazione giuridica e non ingegneristica. Per le opposizioni di territori, enti, comitati, interessi particolari…
Il problema è che ogni progetto beneficato dal Recovery Fund dovrà anzitutto rientrare tra tre macro-obiettivi: sostenibilità, tutela ambientale, pari opportunità. Poi ci sarà a Bruxelles una valutazione della quantità di benefici, rapportata al costo sostenuto (insomma, non buttiamo tanto per ottenere poco). Quindi ogni intervento dovrà essere definito nei dettagli, assegnato, eseguito. Se invece si va avanti “all’italiana”, ci bloccheranno i soldi… all’europea.
Ci sono tempistiche precise nell’erogazione dei soldi, cronoprogrammi da rispettare. Mentre noi non ci siamo ancora dotati né della struttura amministrativa che gestisca quest’immensa mole operativa, né stiamo individuando con precisione come intendiamo usare i fondi europei.
Il “bello” è che l’Italia è stata la più privilegiata tra tutti quanto a stanziamenti, e sarà guardata dagli altri Stati membri come esempio dell’efficacia di un Recovery Fund che (ricordiamolo) non è stato digerito da tutti come necessario od opportuno.
Forza dunque. Un treno così passò 75 anni fa – il piano Marshall – e la classe politica di allora riuscì a rimettere in piedi l’Italia dopo una guerra devastante, lanciandola nell’Olimpo delle economie mondiali. Non sprechiamo questa crisi, non sprechiamo questa occasione.