Un libro che parla chiaro, dati alla mano, sul rapporto tra cambiamenti climatici, conflitti, diseguaglianze
Il rapporto tra scienza e fede non è infatti solo un confronto tra due branche separate della nostra cultura, perché da esso derivano altri interrogativi sul nostro presente e soprattutto sul nostro futuro.
Il rapporto tra la fede e le discipline umanistiche e non, sempre che sia ancora valida questa suddivisione, ci ha accompagnato per la nostra storia. Capita spesso, parlando con fisici, matematici, biologi e altri rappresentanti della scienza, di sconfinare nella filosofia e nella religione, con le sue inquiete domande. Per capire meglio questo rapporto, stavolta ci può essere utile un termine oggi di moda, perché l’aggettivo olistico, derivante da una parola greca che vuol dire tutto, intero, è sempre più diffuso. Il rapporto tra scienza e fede non è infatti solo un confronto tra due branche separate della nostra cultura, perché da esso derivano altri interrogativi sul nostro presente e soprattutto sul nostro futuro: il nostro credo ci sostiene anche nell’accoglienza di persone in esilio da terre che sono cambiate, diventate inadatte alla vita, e questo, a sua volta, ci pone inquiete domande su quanto l’uomo, talvolta con la complicità della scienza, abbia contribuito al disastro. La stessa tragedia del ghiacciaio sulla Marmolada vede come principale imputato il cambiamento climatico, e tra le cause delle attuali guerre c’è il problema delle mutazioni climatiche. Basterebbe leggere con attenzione questo davvero utile – e necessario – Falsi equilibri. Rapporto su diseguaglianze e conflitti dimenticati, a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni (San Paolo, 298 pagine, 26 euro), settima tappa di un percorso di studio iniziato nel 2001 da Caritas Italiana in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e ministero dell’Istruzione, per renderci conto di come conflitti, migrazioni, stragi, violenze sulle persone, soprattutto donne e piccoli, miseria e tanto altro abbiano origini in questa continua, olistica interazione di natura, intervento umano, diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze, indifferenza dei paesi ricchi (le spese per gli armamenti aumentano, mentre diminuiscono le possibilità di abitare la terra), sfruttamento, mancanza non solo di cibo (il rapporto Sofi ha evidenziato una crescita di 46 milioni in più di persone a rischio fame rispetto al 2021), ma anche di istruzione, che servirebbe soprattutto a comprendere la concatenazione di cause ed effetti.
Il libro, che si avvale di apporti di esponenti della scuola, della Caritas Italiana, dell’informazione e della ricerca internazionale, è assai utile per capire le cause degli attuali disequilibri planetari, con elenchi, cartine, proiezioni, statistiche, interviste che ci aggiornano sulla percezione dei motivi e dello stato delle guerre, sulle disuguaglianze nella distribuzione delle risorse.
Assai interessante anche lo studio delle fonti di informazione del pianeta giovani che presenta un sorprendente 47 per cento a favore della tv, che resta, nonostante la concorrenza di app e portatili, una fonte privilegiata, e al contrario il purtroppo prevedibile 4,3 di lettura giornali (con la consolazione del 7,2 dei giovani di AC). Sorprende l’indifferenza e la non conoscenza di guerre che colpiscono non solo militari, ma civili, bambini, anziani, in stragi quotidiane che però sono soverchiate dall’ attenzione (che Freud chiamerebbe processo difensivo di rimozione) per altre tipologie di notizie.
L’istituto Demopolis e Walter Nanni ci mostrano sondaggi in cui la maggioranza dell’interesse mediatico è per i fatti accaduti in Italia, con il 30 per cento di attenzione alle notizie sulla propria città o regione e solo il diciotto per cento di eventi mondiali. La stessa percezione della guerra è per molti (57 %) morte e distruzione, mentre una percentuale molto più bassa (rispettivamente 19 e 11 per cento) pensa a speculazione economica, a povertà e diseguaglianza.
Pagine assai importanti vengono dedicate da Nicola Bruno al fatto che l’informazione di tutti, senza limiti di età, sia ormai online, con l’inquietante constatazione che in zone del mondo in cui c’è un altissimo uso di Facebook si è assistito ad una crescita di violenza contro immigrati. In altre parti del pianeta, come in Myanmar o Sri Lanka, la medesima piattaforma è stata accusata “di non essere riuscita a controllare i discorsi d’odio online”.
Insomma, il classico cane che si morde la coda, e presenta una serie di buchi neri informativi, in Africa come in America Latina, che ci fanno ignorare non solo diseguaglianze e stragi, ma anche il sacrificio di coloro che, consapevoli del rischio mortale, si battono contro ecomafie e cartelli della droga per la dignità e la sopravvivenza dei popoli.
Tutto si tiene, in un mondo in cui questo tutto è connesso con l’infinitesimale parte (la proverbiale farfalla che batte le ali e crea un uragano), anche se c’è qualcosa che viene ritenuto a torto sovrastrutturale, l’informazione, e che invece è uno sguardo che può cambiare la realtà. E farci capire l’intima connessione tra guerre, miseria, cambiamenti climatici, speculazioni finanziarie.