Un'eredità inattesa, in 6 frasi
Senza Marchionne, oggi non parleremmo più di Fiat. Un manager come pochi, controverso e spesso combattuto ma capace di lasciare un segno concreto. Riscopriamolo insieme.
È il 2004, Fiat naviga in pessime acque e perde, si mormora, due milioni di euro al giorno.
Al Lingotto i top manager durano poco, con la scomparsa dell'Avvocato l'azienda ha definitivamente perso la bussola. Uno scapigliato manager italo-canadese si affaccia sulla scena, accompagnato da Umberto Agnelli.
Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti, e poi quando tornavo a Torino il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose, stia a sentirmi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e a farli vivere in uno stabilimento così degradato?
Intervista a Repubblica, 18 gennaio 2011
Fiat negli anni '90 ha perso numerose occasioni, non riuscendo a mettere a frutto modelli di assoluto successo come Punto e Alfa Romeo 156. Un'azienda decotta, bollita si affaccia al principio del nuovo millennio con una gamma fortemente sbilanciata verso il basso, volumi e appeal in calo sui principali mercati d'esportazione.
In più c'è la spada di Damocle dell'accordo con General Motors, che lega indissolubilmente la casa torinese agli americani. Marchionne taglia, riesce persino a farsi pagare dagli americani per non vendergli la baracca. Tratta anche con le banche, ottiene fiducia e credito che sono aria, ossigeno per l'azienda.
L'intervento dello Stato è il riconoscimento dell'incapacità dei manager e dei dirigenti di risolvere industrialmente i problemi. Che, invece è quello che si deve fare in un'impresa.
Intervista a Repubblica, 21 settembre 2006
Dal 2004 al 2006 Marchionne rimette in sesto l'azienda, che torna all'utile. Inizia ad investire sul prodotto, fa programmi audaci per il futuro.
La nuova 500 è lo spirito del tempo, arriva al punto di scriverne persino lo slogan per la réclame e ad organizzare una grande festa sul Po, quasi una cerimonia d'apertura delle olimpiadi, per la presentazione dell'utilitaria simbolo del rilancio aziendale.
Pare che ad aver voluto la 500 ci sia stato Lapo Elkann, i dirigenti non erano convinti ma i dati di vendita daranno ragione al più bohémienne dei rampolli di casa Agnelli.
Voglio che la Fiat diventi la Apple dell'auto. E la 500 sarà il nostro iPod.
Intervista a la Stampa, 4 luglio 2007
La 500 vende bene, da subito, meglio delle attese. È un fenomeno pop che «piace alla gente che piace», citando il vecchio slogan della Y10.
Marchionne non si ferma, rimette in ordine gli assetti societari, snellisce governance e burocrazie interne accorciando le filiere decisionali.
Ma la crisi del 2009 è in agguato, e molti dei bei progetti di casa Fiat tornano nei cassetti.
Il piano di rilancio, l'ennesimo in pochi anni, entra nel vivo nello stabilimento di Pomigliano d'Arco: ha un nome inglese, world car manufacturing, ma a votarlo sono i lavoratori italiani. In gioco ci sono migliaia di posti di lavoro e la sopravvivenza stessa dell'azienda.
Il braccio di ferro con i sindacati italiani è duro, a tratti violento. L'azienda resiste, i sindacati si allineano, rimarrà fuori soltanto la Fiom e Pomigliano si schiererà con l'azienda, ottenendo in cambio la produzione della Panda.
Mi sveglio alle 3.30 ogni mattina. Chrysler è stata una sfida: puoi sbagliare una macchina, ma solo una.
intervista a 60 minutes, 26 marzo 2012
La crisi del settore automobilistico non è un problema solo italiano, in America sia Chrysler che General Motors finiscono a gambe all'aria. Tutte le grandi case automobilistiche devono rivedere i loro piani e scompaiono, inghiottiti dalla razionalizzazione delle produzioni, marchi storici come Pontiac e Mercury.
Se General Motors sembra destinata a risollevarsi da sola, dopo l'iniezione di liquidità da parte del governo federale, per salvare Chrysler l'amministrazione Obama cerca un partner esterno. Si presenterà solo Marchionne, con la Fiat.
È forse l'azzardo più grande della storia dell'automobilismo, quello che compie Marchionne. Fiat subisce in patria gli effetti di una crisi particolarmente dolorosa, il piano i risanamento iniziato nel 2004 è ancora nel vivo della sua attuazione e, soprattutto, Chrysler è una gatta da pelare di proporzioni mostruose.
Ci ha già provato Mercedes a rimettere in carreggiata la più piccola delle tre case americane, senza riuscirci.
La Fiat, che di fallimenti è esperta avendo evitato per un soffio il proprio, inizia a trattare con i sindacati americani ottenendo agevolazioni e facilitazioni. Arrivano anche i soldi del contribuente, e Marchionne investe.
Nascono la Chrysler 200 e 300, vetture simbolo della casa. «Imported from Detroit» recita la pubblicità, ed è un tripudio di orgoglio a stelle e strisce come la 500 aveva saputo occhieggiare all'amor patrio degli italiani
Come potete vedere dalla mia cravatta bene annodata, prevedo che a fine giugno avremo una posizione finanziaria positiva e avremo eliminato quel debito industriale che per tanti anni ha oppresso sia Fiat sia Chrysler.
Capital Market Day del gruppo FCA, 1 giugno 2018
Ci vorranno anni per dare vita ad un gruppo finalmente unito, corale. Fca, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles nasce dalle ceneri di due aziende fallite ed inizia a generare utili su utili.
Il marchio Jeep vende, tanto, sempre di più. Cresce a doppia cifra, infrangendo record su record in tutto il mondo.
Non è, però, tutto oro quel che luccica: sul piatto resta uno dei più blasonati marchi italiani, Lancia. Per la storica casa di Chivasso non c'è più spazio nei piani di sviluppo di Fca, rimarrà solo la Ypsilon a presidiare il mercato italiano.
Modelli dall'assoluto successo si alternano da altri di minor appeal: Fiat Ottimo e Viaggio falliscono miseramente il loro sbarco in Cina; Dodge Dart e la nuova Chrysler 200 vengono ritirate dal commercio dopo pochi anni e l'idea di rimarchiare e vendere in Europa la Chrysler 300 come Lancia Theme si rivelerà un clamoroso buco nell'acqua secondo solo a quello compiuto dalla Chrysler 200 decappottabile diventata la sfortunatissima Lancia Flavia del 2012.
La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo.
Capital Market Day del gruppo FCA, 1 giugno 2018
Marchionne, il manager col maglione, diventa l'uomo dei piani di sviluppo disattesi. I nuovi modelli arriveranno domani, forse dopodomani anzi sicuramente l'anno prossimo.
Il mondo cambia, l'economia si riprende e Fca sembra al palo con gli investimenti, fuori com'è dalle auto elettriche e da altre nicchie di mercato.
Punto, l'utilitaria Fiat per antonomasia invecchia e perde consenso in Europa. La ricetta Marchionne è spietata: bando alle produzioni incapaci di generare profitto. Taglia gli investimenti, i piani di sviluppo, concentra le energie disponibili sulle produzioni più interessanti.
Alfa Romeo Giulia arriva come un fulmine a ciel sereno: irride le concorrenti tedesche girando al Nürburgring più veloce di chiunque altra. È l'asso, forse l'unico, rimasto a Marchionne e se lo gioca come nel suo stile, al massimo dell'azzardo.
Maserati, Alfa Romeo e Jeep sono le tre punte di diamante dell'azienda, capaci di garantirle un futuro. Alle spalle hanno marchi di minor appeal, capaci però di robuste performance come Ram con i suoi furgoni pick-up e Fiat con la famiglia 500.
La notizia della malattia dell'amministratore delegato Sergio Marchionne e della sua sostituzione ai vertici dell'azienda, congela questa storia.
Del suo ritiro si parlava ormai da anni ed era previsto, atteso per il 2019 ma nessuno si sarebbe aspettato un simile epilogo.
Tante battaglie aspettano l'azienda anche nell'immediato, prima fra tutte il ritorno alla piena occupazione negli stabilimenti italiani.
Tanto è stato fatto negli ultimi anni, ma molto resta ancora da fare. Con Marchionne, Fca perde una guida solida, a tratti dura e spregiudicata, che sarà difficile se non impossibile rimpiazzare senza scendere a compromessi.