Ucraina. Ferrara (diplomatico): “Legittima difesa è ora prioritaria ma la prospettiva di un dialogo è fondamentale”
“Tornare a Helsinki, tornare alla prospettiva di un dialogo credibile, è fondamentale. Purtroppo non siamo ancora lì, ma questo è il modo concreto politico-internazionale per declinare l’appello del Papa per la pace e a favore di una soluzione del conflitto che sia pacifica, giusta, concordata, sostenibile e stabile nel tempo. Uno degli strumenti può essere una Conferenza internazionale, da convocare quando sarà il tempo e quando ci saranno le condizioni, per riportare pace ma anche cooperazione e sicurezza in Europa”. A parlare è Pasquale Ferrara, dal maggio 2021 direttore generale per gli Affari politici e di sicurezza del Ministero degli esteri
“Tornare a Helsinki, tornare alla prospettiva di un dialogo credibile, è fondamentale. Purtroppo non siamo ancora lì, ma questo è il modo concreto politico-internazionale per declinare l’appello del Papa per la pace e a favore di una soluzione del conflitto che sia pacifica, giusta, concordata, sostenibile e stabile nel tempo. Uno degli strumenti può essere una Conferenza internazionale, da convocare quando sarà il tempo e quando ci saranno le condizioni, per riportare pace ma anche cooperazione e sicurezza in Europa”. A parlare è Pasquale Ferrara, dal maggio 2021 direttore generale per gli Affari politici e di sicurezza del Ministero degli esteri. Il Sir gli ha chiesto di commentare l’appello all’Angelus di Papa Francesco per la pace in Ucraina. “Il Papa – osserva il diplomatico – è un’autorità mondiale per quello che dice e per la forza con cui difende la causa della pace. Il suo messaggio sicuramente arriva agli orecchi e desta l’attenzione dei circoli diplomatici. Si sono levate anche diverse voci, in sintonia con quelle del Papa. Il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un recente discorso a Strasburgo, al Consiglio d’Europa, ha chiesto rivolto un accorato appello affinché non si ritorni a Yalta, alla divisione cioè del mondo in sfere di influenza, alle ragioni della forza, ma ha richiamato Helsinki, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Csce) del 75 che coinvolse anche l’Unione Sovietica e in qualche modo fu uno degli eventi prodromici per la distensione e il superamento stesso dei blocchi in Europa. Abbiamo bisogno di recuperare lo spirito di Helsinki”.
Il Papa però ha anche detto che la crisi ucraina avrebbe dovuto essere “una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni”. Dove ha sbagliato la diplomazia fino adesso?
Quando c’è la volontà di iniziare un conflitto, è chiaro che la diplomazia ha ben poco spazio per operare. In primo luogo quindi direi che il più grande errore è stato fatto dalla Russia, quando ha deciso di lanciare un’aggressione armata contro l’Ucraina. Ci sono stati vari tentativi per evitare un esito di questo tipo, come gli Accordi di Minsk o come le visite di Capi di Stato a Mosca e a Kiev prima che iniziasse il conflitto. Il punto ora è un altro: se la diplomazia non ha funzionato nella fase preventiva, bisogna adesso capire in che modo la diplomazia possa funzionare per mettere fine al conflitto. Ma anche in questo caso è evidente che una delle condizioni fondamentali è quella della cessazione delle ostilità.
Compito della diplomazia è trovare soluzioni che devono essere giuste, condivise e accettabili da entrambi le parti, altrimenti non sarebbe una pace ma una resa. Lo spazio quindi della diplomazia c’è, ma ci sono delle condizioni abilitanti che non si sono purtroppo verificate sinora. Bisogna lavorare perché questo accada.
L’Ucraina chiede costantemente un aiuto nella difesa armata mentre il Papa mette in evidenza il rischio di una “una pace basata sull’equilibrio degli armamenti” e la “paura reciproca”. “Questo vuol dire – dice Francesco – far tornare indietro la storia di settant’anni”. Ma di fronte ad una aggressione così violenta che non risparmia civili e bambini, come non difendersi?
Qui è evidente che il Papa pone una prospettiva storica molto importante. Il riferimento è alla corsa agli armamenti e alla paralisi tra i due blocchi durante la guerra fredda. E’ un rischio assolutamente da scongiurare. Però qui il tema è quello della legittima difesa. Nella Carta delle Nazioni Unite si sancisce il divieto generale dell’uso della forza e l’unica situazione in cui viene autorizzata ed è autorizzabile, è quello della legittima difesa che viene evocata nell’art. 51 quando si è sotto un attacco armato. Mi pare sia il caso in cui si trovi l’Ucraina in questo momento. Ma la legittima difesa è anche una politica, che pone un dilemma e anche un paradosso, perché prescrive l’uso degli strumenti di guerra per difendersi da una guerra. La legittima difesa serve per far terminare un attacco ma noi sappiamo benissimo che le guerre si concludono non solamente con l’esercizio della legittima difesa ma anche quando c’è una prospettiva negoziale. La guerra finisce con la diplomazia, come ha detto anche il presidente Zelensky. Il tempo però non è ancora quello della diplomazia, purtroppo. Perché i combattimenti sono ancora in corso.
Ma deve essere chiaro che la legittima difesa è importante se è combinata con una prospettiva negoziale. E il negoziato deve garantire la sicurezza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. La pace deve essere giusta, non ci può essere pace imposta.
Il conflitto si prospetta lungo e il processo per venirne fuori appare complesso. Come si esce dal tunnel di questa guerra?
Bisogna aver sempre presente che c’è un doppio binario. Il primo è quello della legittima difesa, come dicevo. Il secondo, che va perseguito con altrettanta determinazione, è quello della soluzione diplomatica. Quale che sia l’esito della guerra, bisognerà mettersi attorno ad un tavolo e verificare quali sono i parametri per una pace giusta e duratura. Bisogna avere quella che io chiamo “pazienza strategica”: non lasciarsi travolgere dal presente, ma cercare di avere sempre uno sguardo più lungo ed una visione ampia per capire quale possa essere una possibile composizione del conflitto.
Ovviamente la pace si fa in due, e se non c’è volontà dall’altra parte è chiaro che ci si trova di fronte ad un conflitto destinato a durare a lungo nel tempo, cosa che bisognerebbe cercare di scongiurare in tutti modi.
Nei mesi di giugno e luglio, sono partiti dall’Italia iniziative di pace animate da associazioni e movimenti pacifisti come le carovane della pace a Odessa e la Marcia a Kiev. Lei cosa pensa di queste iniziative? Hanno e possono avere un peso?
Innanzitutto c’è una dimensione umanitaria che è fondamentale. E’ segno di una solidarietà concreta e di amicizia ma anche e soprattutto la testimonianza del fatto che questa è una guerra europea. Per quanto riguarda le iniziative pacifiste, credo che rappresentino un impegno importante. Non bisogna però dimenticare che gli ucraini in questo momento hanno una priorità, che è quella di difendere il proprio paese. In questa fase è quindi molto difficile chiedere agli ucraini di sospendere, senza alcuna garanzia, la loro resistenza perché equivarrebbe ad una resa più o meno incondizionata.
Bisogna perciò parlare di pace anche e soprattutto a chi in questo momento la pace non la vuole e ha deliberatamente violato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Ciò detto, i movimenti a favore della pace non si limitano a manifestare, ma si fanno anche portatori di una prospettiva politica, mostrando la consapevolezza della complessità di questo conflitto e di quello che è necessario fare, da tutte le parti, per porvi fine.