Ucraina. Fermiamo la guerra, madre feconda dell’odio
Se mai esistesse un termometro dell’odio, segnalerebbe un febbrone. In questi anni più volte abbiamo ascoltato la giustissima denuncia delle "parole d’odio" che circolavano nella nostra società. Parole durissime e sconvenienti, talvolta volgari e certamente irrispettose rivolte verso persone considerate “diverse”. Ma sembra già una storia di ieri, figlia di un tempo già consumato, anche se il problema non è stato ancora rimosso e la questione educativa sollevata non abbia ancora trovato uno sbocco realmente positivo
Se mai esistesse un termometro dell’odio, segnalerebbe un febbrone. In questi anni più volte abbiamo ascoltato la giustissima denuncia delle “parole d’odio” che circolavano nella nostra società. Parole durissime e sconvenienti, talvolta volgari e certamente irrispettose rivolte verso persone considerate “diverse”. Ma sembra già una storia di ieri, figlia di un tempo già consumato, anche se il problema non è stato ancora rimosso e la questione educativa sollevata non abbia ancora trovato uno sbocco realmente positivo.
La verità è che l’odio trova sempre strade nuove.
Basti pensare che il Novecento è stato, a suo modo, il secolo dell’odio programmatico. Le ideologie del novecento hanno fatto dell’odio una categoria necessaria alla loro affermazione fino a programmarne lo sterminio sistematico di uomini e realtà a loro contrarie, costruendo terribili e disumane macchine di distruzione di massa. Nessuno di noi (tanto meno i nostri giovani), dovrebbe mai dimenticare le immagini dei treni blindati, delle camere a gas, dei campi di concentramento e sterminio. E soprattutto le masse di corpi smagriti, i crani rasati a zero, i volti scavati, le bocche senza denti, gli occhi privi di luce. Un autentico incubo che solo ottanta anni fa ha percorso come una lama infuocata la nostra Europa. Deturpandone il volto e corrompendone la coscienza.
Ecco perché suonano sinistre le parole di Dmitry Medvedev, numero due di Mosca, che tanta eco hanno avuto in tutto il mondo e in particolare in Occidente:
“Mi viene spesso chiesto perché i miei post su Telegram sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la nostra morte, quella della Russia. E finché sono vivo farò di tutto per farli sparire”.
Se non si trattasse del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente della Federazione russa, potremmo tranquillamente pensare di trovarci dinanzi alle esternazioni sopra le righe di uno dei tanti leoni da tastiera che popolano i social. E invece no. Abbiamo a che fare con il secondo uomo forte (dopo Putin) di una potenza mondiale in guerra che utilizza con assoluta noncuranza la parola odio rivolta contro i propri presunti nemici. Ovviamente gli occidentali, come hanno inevitabilmente semplificato tutti i media internazionali.
Ecco dunque l’odio richiamato in campo per svolgere il suo orrendo lavoro, all’interno di una sanguinosa cornice di guerra di invasione, dentro i confini dell’Europa.
La guerra non è solo una manifestazione dell’odio, purtroppo ne è anche la madre più feconda.
Una madre in grado di costruire un orizzonte di senso negativo e disumano, di motivare e giustificare l’azione violenta e sconsiderata, di stravolgere il volto dell’altro attribuendogli solo le fattezze del nemico da eliminare, di rivolgere tutte le proprie energie alla distruzione dell’altro e del suo mondo, di desiderare la scomparsa definitiva del diverso da sé.
Non averne una lucida coscienza, anche da parte di noi occidentali e per di più cristiani, come lo sono anche i nostri fratelli ortodossi russi e ucraini, è un gravissimo errore prospettico.
La valenza dell’odio è imponente, cioè può mettere radici così profonde da lasciare un segno tanto lacerante da necessitare secoli per essere superata,
depurata e riconsegnata agli archivi della storia che raccolgono gli errori talvolta catastrofici delle generazioni che ci hanno preceduto. L’eco dell’odio e delle sue forme più malsane attraversa il tempo e restituisce ai contemporanei l’enorme inspiegabile stoltezza del genere umano che preferisce il rombo dei cannoni alle parole della pace.
Ecco perché la guerra scatenata nel cuore dell’Europa preoccupa e angoscia. Perché ogni giorno in più di uccisioni (da una parte e dall’altra delle barricate), di distruzioni e violenze, di parole minacciose versate nei fiumi già avvelenati del discorso pubblico, alimenta solo una causa: quella dell’odio. Bloccare questa spirale disumana è un dovere. E dunque,
fermare la guerra al più presto e ripristinare una pace anche faticosa sono condizioni indispensabili per tagliare la strada all’odio.
Dentro i cuori e nelle menti dei potenti. Ma non solo in loro. Anche le nostre coscienze e quelle dei nostri popoli vanno curate dal cancro dell’odio. Per non rispondere mai all’odio con l’odio.