Troppo presto. I comportamenti adolescenziali tendono a essere sempre più precoci
Dopo la baby adolescenza e l’adolescenza simulata, i giovani si trovano ad affrontare il mondo delle responsabilità senza essere preparati.
L’età adolescenziale è sempre più l’espressione delle molte contraddizioni del nostro tempo. Si manifesta con una parabola assai singolare rispetto al passato.
I comportamenti adolescenziali, infatti, tendono a essere sempre più precoci. Già alla fine della scuola primaria molti dei nostri figli assumono pose che non apparterrebbero ancora alla loro età. Si è già teen ager a 10 anni, soprattutto nei Paesi del benessere.
Colpa della tv? O forse degli smartphone? O di noi educatori?
E’ interessante osservare come nella nostra società si parli moltissimo di infanzia, soprattutto in termini di accudimento (scelte alimentari, ritmi del sonno, cure) e socializzazione. Della crescita interiore dei bambini invece si parla poco o non adeguatamente, ovvero in genere è la scuola a parlarne come se la pedagogia fosse esclusivo appannaggio di maestri ed educatori. Maggiore spazio, però, si tende a dare alla psicologia più che altro in termini di “sostegno” e “soccorso”.
L’adolescenza, quindi, brucia le tappe e, nello stesso tempo, tarda a congedarsi rispetto alle generazioni precedenti. In alcuni casi, non si congeda mai.
La precocizzazione dell’adolescenza è dovuta a vari fattori: migliore alimentazione a base proteica, attività sportiva più intensa e, non ultima, la spinta di un mercato rapace che individua subito negli adolescenti in erba un target ghiotto. Così i miniadolescenti si trovano presto catapultati nel mondo privo di filtri degli adulti. Subiscono una sorta di acquisizione accelerata dei contenuti, anche di quelli più “scabrosi”. Il risultato è inevitabilmente la crisi identitaria, la cui naturale risoluzione non viene consentita perché ai baby adolescenti viene sottratta il più possibile la parte esperienziale della vita. Sono “troppo piccoli” per affrontare le asperità. L’adolescenza per molti anni non è altro che un travestimento, quindi. Il rischio è che lo resti per sempre.
Tra genitori e figli si sviluppa presto una sorta di affrancamento schizofrenico. Da un lato si concedono libertà impensabili fino a pochi anni fa, dall’altro si esercita nei confronti dei figli un tutoraggio sine die con conseguente rapporto di dipendenza permanente.
Nella testa dei genitori è chiaro il concetto che “fuori” ci sia “un mondo brutto e violento”, perciò si tende a simulare un’adolescenza anche eccessiva che però raramente si misura davvero con la realtà.
Dopo la baby adolescenza e l’adolescenza simulata, i giovani (privi di significative esperienze personali) si trovano ad affrontare il mondo delle responsabilità senza essere stati adeguatamente preparati. Sviluppano quindi nevrosi, fobie o, nella migliore delle ipotesi, tendono a procrastinare le scelte importanti della crescita.
Gli esperti ricordano quanto sia necessario durante l’infanzia e l’adolescenza dare spazio ai figli per renderli sempre più indipendenti. L’estate, ad esempio, può essere un tempo propizio per nuove esperienze formative.
Importante che trovino un impegno, un lavoretto. I centri estivi possono offrire delle belle opportunità di crescita agli adolescenti, o anche lo sport e il volontariato. L’insidia più grande è proprio in casa, dove i giovani tendono a isolarsi con tablet, computer e cellulari.
Certo, oggi, essere genitori ed educatori non è semplice: il tempo è poco, siamo bombardati da messaggi fuorvianti e c’è sempre più carenza (o ambiguità) affettiva nelle nostre relazioni. Per educare i proprio figli all’autonomia è fondamentale una task force tra famiglia, scuola e gli altri enti. L’ideale sarebbe disinnescare questo processo inverso e contraddittorio che precocizza l’adolescenza e procrastina in maniera deleteria l’età adulta. La comunicazione tra gli attori di questo processo dovrebbe essere aperta, ricettiva e critica. Soltanto così si potrà davvero far maturare i nostri giovani e prepararli ad affrontare il loro futuro con serenità.
Silvia Rossetti