Tra scuola, riabilitazione, canto e gioco
In Camerun l’associazione Dokita gestisce tre centri per ragazzi con disabilità, in cui si insegnano anche il Braille e la lingua dei segni. Oltre 5mila i minori seguiti ogni anno attraverso cure mediche, attività fisioterapiche e formazione. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail
Dokita, in lingua bulu, significa medico, dottore, guaritore. Ed è il titolo che in Camerun la popolazione locale diede a Clemente Maino, religioso della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione, che alla fine degli anni Settanta portò cure e assistenza a una delle comunità più povere dell’Africa. Ma Dokita è anche il nome di un’organizzazione umanitaria nata su iniziativa di alcuni amici del missionario: una onlus che da oltre 30 anni offre un aiuto concreto alle persone più vulnerabili in Italia e nel mondo, e che in Camerun gestisce tre centri per minori disabili. Qui circa il 23% dei bambini con età compresa tra i due e i nove anni lotta contro almeno una forma di disabilità, spesso legata alle conseguenze di malattie come la polio, la malaria, la lebbra o il morbillo.
«In questi mesi di emergenza causata dal covid-19», spiega il direttore di Dokita Mario Grieco, «la vita delle persone disabili è ancora più difficile, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove spesso la condizione di queste persone si scontra con la mancanza di strutture sanitarie adeguate e con la presenza di barriere architettoniche e socioculturali. In Camerun i servizi per le persone disabili sono spesso carenti, le strutture in grado di accogliere minori con bisogni speciali pochissime e, nella maggior parte dei casi, i bambini con fragilità vengono rifiutati persino dalle loro famiglie, sia per mancanza di risorse economiche che per ragioni legate allo stigma ancora troppo spesso associato alla loro condizione. Essere un bambino disabile in Camerun significa, spesso, non avere la possibilità di accedere ai servizi, non poter frequentare la scuola e non ricevere né assistenza né nutrizione adeguate alle necessità. Superare questa ingiustizia è un dovere», commenta Grieco, «e per farlo dobbiamo fornire a questi bambini cure mediche e fisioterapiche, accoglienza e istruzione». Detto fatto. Nei tre centri gestiti da Dokita e dalla Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione vengono seguiti ogni anno oltre 5mila minori, e non solo.
Il Centro Prohandicam di Yaoundé, la capitale, ospita una delle poche scuole per bambini ciechi e ipovedenti del Paese. «Assiste circa 300 ragazzi con problemi della vista o ritardo cognitivo, e chi è orfano o ha la famiglia lontana dorme lì», dice Cecilia Calò, responsabile dei progetti di Dokita. Si insegna con il metodo Braille, alla fine del secondo anno vengono introdotti la macchina da scrivere o il computer, nozioni di mobilità e orientamento e l’utilizzo del bastone bianco, «c’è un laboratorio di falegnameria e uno di protesi e ortesi per imparare un mestiere una volta terminata la scuola ed è presente anche un ambulatorio oculistico». Il Foyer de l’Esperance di Sangmelima, invece, sostiene una cinquantina di giovani con disabilità motorie e intellettive. «I ragazzi vengono individuati andandoli a cercare villaggio per villaggio, durante l’anno vivono nel centro, frequentando però la scuola pubblica, e tornano a casa per le vacanze. Qui è presente un laboratorio di sartoria per giovani donne e uno di protesi-ortesi, più un fisioterapista». Infine c’è il Foyer Père Monti di Ebolowa, che dal 1984 si prende cura, per la stragrande maggioranza, di minori con disabilità uditive e della voce. «Infatti quasi tutte le lezioni sono in lingua dei segni», spiega Calò. Il centro segue stabilmente un centinaio di ragazzini che vivono lì, e le attività professionalizzanti sono date da laboratori di protesi e ortesi, di produzione di mattoni, di allevamento di polli e di pescicoltura, perché nei pressi del centro c’è un laghetto. «Inoltre le ragazze possono seguire un corso per diventare parrucchiere».
Nei tre centri dell’associazione la mattina è dedicata alle lezioni, secondo il programma didattico nazionale camerunense, mentre il pomeriggio è scandito dal fare i compiti e da attività ludico-ricreative come canto, musica e giochi. C’è poi una sorta di responsabilizzazione dei ragazzi nella gestione degli spazi comuni, della mensa e delle camere da letto, con i più grandicelli intenti ad aiutare i più piccoli. «Dokita opera con un approccio su base comunitaria, coinvolgendo e sensibilizzando le comunità e il contesto di appartenenza, le zone rurali, le parrocchie. Il governo fa poco, se non sollecitato e assistito dalle ong internazionali, per cui cerchiamo di stimolare noi i servizi territoriali locali», precisa Cecilia Calò. «La disabilità non è solo un fatto soggettivo, ma dipende anche e soprattutto dalle opportunità che vengono offerte là dove si nasce, si cresce e si vive». E questo vale in tutto il mondo.
(L’articolo è tratto dal numero di SuperAbile INAIL di maggio, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)
Michela Trigari