Terremoto tre anni dopo: dalla Valnerina il grido “non ce semo corgati mai”, “non ci siamo arresi mai”. La lotta contro la burocrazia
Dalla Valnerina il grido degli abitanti di Campi, frazione di Norcia: "Non ci siamo arresi mai". La sfida della burocrazia che rallenta la ricostruzione e accelera lo spopolamento. Attesa per il nuovo decreto terremoto, votato dal Governo il 21 ottobre, che prevede l’estensione dello stato di emergenza per oltre un anno (31 dicembre 2020) e iter più veloci per la ricostruzione. Il 30 novembre si inaugura il Centro di comunità di sant'Andrea apostolo
“Non ce semo corgati mai”: Giustino Grazioso e sua moglie Giuseppina Petrazzi si affidano all’immediatezza e all’efficacia del dialetto della Valnerina per riassumere in poche parole il loro post-terremoto. Tre anni fa in Centro Italia le scosse del 24 agosto e poi quella “terribile” del 30 ottobre 2016, delle 7.41 – con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci. Giustino e Giuseppina sono di Campi, una frazione di Norcia, e insieme a uno dei due figli e due operai, mandano avanti una piccola azienda casearia. In un grande capannone hanno “delocalizzato” laboratorio e gregge di 500 pecore. Ma lo sguardo va sempre verso ciò che resta della loro abitazione, situata a poche centinaia di metri, nella zona bassa di Campi, che attende di essere ricostruita. Guardare a Campi, ancora tutta “zona rossa”, significa anche ricordare la scossa del 30 ottobre mattina, “quel boato, la polvere dei crolli che avvolgeva ogni cosa nascondendola alla vista, il rotolio delle rocce lungo i crinali, la fuga”.
“Ma non ce semo corgati mai, non ci siamo mai arresi”.
“Abbiamo sempre continuato a lavorare”. Giustino proviene da una famiglia di pastori, “da cinque generazioni” rivendica con orgoglio, e la sua meta, condivisa con la moglie e il resto della famiglia, è ricostruire la casa distrutta. “L’importante è che siamo vivi – dicono in coro – certo è che dopo oltre 40 anni di sacrifici ci siamo trovati a vivere dentro un container. C’eravamo rimessi in piedi dopo il sisma del 1997 e adesso a 70 anni dobbiamo ricominciare tutto da capo. Ma se non lo avessimo fatto avremmo perso tutto e mandato in fumo un patrimonio di storia e di generazioni.
Oggi la lotta non è più con il terremoto, ma con la burocrazia che rallenta la ricostruzione”. “La nostra sfida – afferma Giustino – è la burocrazia. Sono tre anni che aspettiamo per riedificare la nostra abitazione colpita dal sisma”. Una sfida condivisa da molti in questo lembo di terra dove mucchi di macerie fanno ancora bella mostra di sé.
“Dalla presentazione del progetto di ricostruzione della casa ai vari enti preposti, Comune, Provincia, Regione, Soprintendenza, Parco, Ufficio della ricostruzione a Foligno, fino all’approvazione possono passare anche 8-10 mesi. Un tempo che si allunga notevolmente se il progetto viene bocciato o rimandato indietro per aggiustamenti”.
E così il sogno di ricostruire casa diventa un incubo. “Le famiglie giovani preferiscono andare via e si assiste ad un progressivo spopolamento di tanti piccoli centri”. Giustino e Giuseppina non si arrendono. “Lo facciamo soprattutto per i nostri nipoti, i più piccoli nati ‘sotto’ il terremoto”, dicono mostrando le foto incorniciate e montagne di giocattoli con cui hanno riempito ogni spazio del container. “Nella nostra attività, inoltre, siamo soggetti a controlli ferrei. Giusto che sia così. Noi non chiediamo privilegi o favoritismi ma solo di poter lavorare e ricostruire senza eccessiva burocrazia. La ricostruzione non è solo delle case ma anche delle attività commerciali, industriali, culturali”. Nuove speranze ora sono riposte nel nuovo decreto terremoto, votato dal Governo il 21 ottobre, che prevede, tra le varie misure, l’estensione dello stato di emergenza per oltre un anno (fino al 31 dicembre 2020) e iter più veloci per la ricostruzione, con particolare attenzione agli immobili privati e al ripristino del tessuto imprenditoriale, oggi in forte crisi.
Non si sono “corgati” mai nemmeno Giacomo Sabbadini e suo figlio Silvio, titolari di una piccola azienda edile. Anche loro di Campi, con una casa inagibile, costretti a vivere tra una pertinenza di legno di pochi metri quadrati e un piccolo container, posizionati a poche decine di metri da quella abitazione che vorrebbero ricostruire. Come Giustino e Giuseppina, anche loro in attesa di avere l’approvazione del progetto e dunque l’erogazione del contributo riconosciuto in base ai danni. Intanto, lavorano alla ricostruzione di altre abitazioni, quelle, spiegano, “di tipo ‘B’, che hanno ricevuto danni lievi e che non necessitano di grandi lavori. Le stime dicono che la maggioranza delle abitazioni “di tipo B” sono tutte “seconde case” appartenenti a “non residenti” e questo qualche dolore di pancia ai residenti lo sta procurando, anche perché qualcuno in queste zone ricorda che nella ricostruzione del terremoto del 1997 le abitazioni dei residenti avevano la precedenza sulle seconde case.
“Dire che tutto è fermo – spiega Silvio – non sarebbe giusto. Ma la vera ricostruzione, legata alle demolizioni e riedificazione, è di là da venire. Andiamo avanti con il freno a mano della burocrazia che rallenta tutto, anche i pagamenti. Abbiamo fatto dei lavori un anno fa che devono ancora essere pagati dalle banche. Spesso siamo noi come ditta ad anticipare stipendi e pagamenti – abbiamo 8 operai – e questo ci mette nelle condizioni di non stare mai tranquilli. Bisogna correre sempre per trovare lavori, ristrutturazioni, presentare progetti, parlare con le banche, con gli studi tecnici e gli enti preposti alla ricostruzione. Intanto i mesi, gli anni volano”.
Una corsa contro il tempo per “farsi trovare pronti quando partirà la grande ricostruzione. Ma se questa dovesse tardare ancora molto allora saranno guai seri per tutti”. Anche per chi vive nelle Sae, le casette di legno che dopo tre anni mostrano tutti i loro limiti di affidabilità e confort. “È urgente aiutare le famiglie a rientrare nelle loro abitazioni perché se non saranno ricostruite in breve tempo, qui non resterà più nessuno. La speranza è che vengano messe in atto norme più snelle per facilitare l’approvazione dei progetti e i decreti di ricostruzione”.
Il Centro di comunità. Poco distante dal campo dove Silvio e Giacomo stanno lavorando sta sorgendo un Centro di comunità finanziato dalle Caritas delle diocesi di Como e Mantova. La sua inaugurazione è prevista per la fine di novembre prossimo, il 30 novembre, festa di S. Andrea. “Un centro che vuole essere anche una garanzia di sopravvivenza delle nostre comunità – spiega Silvana Santucci, collaboratrice della parrocchia di S. Andrea apostolo, guidata dal parroco don Luciano Avenati –. Il centro ci aiuterà a sorreggere le famiglie e le persone di qui. Dopo la gara di solidarietà della prima ora che aveva rinsaldato i legami, ora emergono i limiti di questa situazione di stallo, egoismi e rivalità.
La lentezza della ricostruzione amplifica questi limiti perché scoraggia e deprime. Non si possono aspettare anni prima di rientrare in casa propria. Il rischio che si resti in pochi a custodire queste terre è alto. Per questo motivo il Centro rappresenta per noi un pezzo di ricostruzione”.