Stare fermi costa di più

Nella prima settimana di giugno sono stati pubblicati gli ultimi dati dell’Osservatorio europeo Copernicus che evidenziano come il mese di maggio appena terminato è stato globalmente il più caldo mai registrato e che da un anno a questa parte, cioè dal giugno 2023, ogni singolo mese è stato più caldo di quello precedente.

Stare fermi costa di più

In quest’ultimo anno la temperatura media globale della Terra è stata di 1,63°C sopra la media pre-industriale e dunque superiore al limite di 1,5°C indicato dalla scienza come soglia per contenere gli impatti del riscaldamento globale. Il tema della crisi climatica e della necessità di rafforzare e accelerare la transizione energetica continua, però, a essere poco attenzionato nel dibattito pubblico nazionale e internazionale, né lo è stato nella campagna per le elezioni europee. Anzi alcune forze politiche hanno dipinto la transizione energetica (efficientare gli edifici, ridurre i consumi energetici, elettrificare la mobilità, ...) come il nuovo volto “cattivo” dell’Europa, impegnandosi a rinviarla a data da destinarsi perché sarebbe troppo costosa per le imprese e per i cittadini e non porterebbe beneficio per le economie nazionali. Al contrario, i più recenti rapporti e documenti delle principali organizzazioni internazionali ed europee – dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) al Fondo Monetario Internazionale (Fmi), dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (Aea) alla Commissione europea – indicano che l’avanzare della crisi climatica avrà pesanti impatti sul sistema economico e sociale dell’Europa e dei suoi Paesi membri, tra cui l’Italia. Questi rapporti evidenziano che i «costi dell’inazione» sono molto maggiori dei «costi dell’azione». Secondo l’Ocse, in uno scenario che prevede la neutralità climatica al 2050, per l’Italia accelerare ora la transizione energetica contribuirebbe tra il 2024 e il 2050 a una riduzione dello 0,97 per cento del Pil, mentre con un rinvio delle misure a dopo il 2030 la perdita di Pil sarebbe dell’1,2 per cento. Ma se la transizione è accompagnata e sostenuta da politiche che stimolano l’innovazione, come prevedono gli investimenti e le riforme previste dal Green Deal europeo, nello stesso periodo si avrebbe un aumento di Pil del 2,2 per cento, con conseguente aumento delle entrate, dell’occupazione e il miglioramento del rapporto debito/Pil. Per dare concretezza a questa prospettiva è utile richiamare, a titolo di esempio, la posizione di Elettricità Futura, l’associazione di Confindustria che riunisce il 70 per cento delle aziende del settore elettrico italiano che, in coerenza con il REPowerEU che richiede di sostituire rapidamente i combustibili fossili con l’energia da fonti rinnovabili, è pronta ad investire 320 miliardi di euro per portare entro il 2030 le fonti rinnovabili all’84 per cento del mix elettrico nazionale (oggi siamo al 38). Tale obiettivo porterebbe alla riduzione del 75 per cento delle emissioni del settore elettrico rispetto ai livelli del 1990 e la creazione di oltre 500 mila nuovi posti di lavoro in Italia. Rinviare la transizione energetica non è, dunque, una buona idea di fronte alla necessità e all’urgenza di agire per contenere l’aumento della temperatura. Scegliere l’inazione non conviene neppure dal punto di vista economico, perché frena gli investimenti rivolti all’innovazione e all’efficienza dei sistemi produttivi, riducendo le opportunità di sviluppo e di crescita sostenibile dei territori e del Paese nel suo insieme. Infine, non agire oggi attraverso politiche e azioni per ridurre le emissioni del 55 per cento al 2030 e perseguire la neutralità climatica al 2050 significa scaricare sulle generazioni future i costi e i danni dell’inazione.

Matteo Mascia
COORDINATORE DEL PROGETTO ETICA E POLITICHE AMBIENTALI DELLA FONDAZIONE LANZA

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