Società. Fondazione natalità e Forum famiglie: “Vincere l’inverno demografico? Si può fare”
Martedì 15 marzo si è svolto l’incontro “Dalle culle vuote alla ripartenza del Paese”, in diretta streaming dall’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano - Asst Fatebenefratelli Sacco, durante il quale Gigi De Palo ha annunciato la seconda edizione degli Stati generali della natalità, che si terranno a Roma il 12 e il 13 maggio
“I figli sono frutto di un ragionamento non utilitaristico, sono amore che si trasmette, sono il segnale di un Paese che torna ad amare e desiderare, perché i figli non devono essere né un dovere né un lusso, ma una libertà”. Con queste parole Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, ha dato il via, martedì 15 marzo, l’evento “Dalle culle vuote alla ripartenza del Paese”, in diretta streaming dall’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano – Asst Fatebenefratelli Sacco.
In occasione dell’appuntamento, De Palo ha annunciato che
“ci ritroveremo nuovamente a Roma il 12 e il 13 maggio per la seconda edizione degli Stati generali della natalità, con il titolo ‘Si può fare’, sempre con un approccio molto concreto che va aldilà di dinamiche ideologiche, perché questa è la battaglia che dovremo combattere tutti insieme per i prossimi vent’anni”.
Sul ruolo delle grandi città e della politica sulla natalità si è soffermato il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. “Le grandi città possono facilitare o ostacolare la natalità – ha osservato -. Bisogna trovare una formula per un progresso più giusto. I decenni d’oro di Milano hanno coinciso con una grande natalità. Certo, le città non possono fare da sole, come non può fare sa solo il Governo. Bisogna fare di più e per uscire dalla crisi ci vuole fantasia, si deve valorizzare di più la qualità”. Sala ha aggiunto:
“Dobbiamo pensare città a misura di bambino, dove si vive bene e ci sono servizi per i piccoli”.
Tre fatti negativi, tre nodi da sciogliere, tre possibili leve positive rispetto alla questione natalità: da qui è partito Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella sua analisi per rispondere alla domanda: “Si può fare?”, con il sottointeso di vincere l’inverno demografico. L’esperto ha indicato, innanzitutto, i tre fatti negativi: “L’Italia è da lungo tempo, oltre 35 anni, in crisi demografica; rispetto al resto Europa facciamo meno figli (tasso di fecondità è <1,25), le donne fanno figli più tardi (> 31 anni) e sempre più rinuncia della scelta di avere figli. Le conseguenze sono un anticipato declino rispetto alla popolazione europea e alle previsioni dell’Istat del 2011 e accentuati squilibri interni, con meno giovani e più anziani: negli anni ’90 siamo stati il primo Paese al mondo in cui gli under 15 sono stati meno degli over 65.Prima della pandemia l’Ocse aveva realizzato un report in cui ha segnalato il rischio per l’Italia di trovarsi a metà di questo secolo in un rapporto 1 a 1 tra pensionati e lavoratori. Uno scenario di questo tipo è incompatibile con qualsiasi scenario di crescita economica e sostenibilità sociale.
In più ora si stanno riducendo anche le potenziali madri, cioè sono in riduzione anche le donne, questo porta ulteriore denatalità in futuro, è un avvitamento continuo verso il basso, che va spezzato perché stiamo erodendo la vitalità del Paese. In questa ‘trappola demografica’ siamo entrati più che in altri Paesi”. Il terzo fatto negativo è
“l’impatto della pandemia, severo soprattutto sui progetti dei giovani”:
“Il picco negativo record di gennaio 2021 (a 9 mesi da lockdown) è particolarmente evidente tra le più giovani e tra le immigrate. Ma soprattutto, per under 30 e straniere: recupero del tutto assente (valori negativi e sistematicamente peggiori della media lungo tutto il periodo considerato)”.
Ci sono, poi, i tre nodi da sciogliere: “Il primo è il rinvio continuo del primo figlio, la lunga permanenza dei giovani nella condizione di figli, maggiormente a carico dei propri genitori per difficoltà di ingresso stabile nel mondo del lavoro (e accesso abitazione). Il secondo riguarda, dopo il primo figlio, le complicazioni organizzative familiari. In particolare le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia: tutto questo scoraggia il passaggio al secondo figlio. Senza adeguati strumenti di conciliazione: chi ha figli più difficilmente lavora, chi lavora più difficilmente ha figli. Infine, le difficoltà economiche associate alla scelta di avere figli, con l’alta esposizione a rischio di povertà per chi non rinvia o ne ha ‘troppi’”. Tra le possibili leve positive, “il numero medio di figli desiderato non più basso degli altri Paesi (attorno a 2, ma rischio di diventare ‘desiderio debole’ se non riconosciuto valore collettivo); l’evidenza dell’efficacia delle politiche adeguate (la fecondità può tornare a salire e avvicinarsi a numero di figli desiderato: Francia, Svezia, Germania); la risposta alla crisi sanitaria diversa da Grande recessione (che ha portato a depressione demografica tra le più accentuate), grazie ai fondi Next Generation Eu/Pnrr e Family act”. Cosa dovremmo davvero fare se volessimo invertire la tendenza?“Per invertire in modo solido la tendenza negativa – ha risposto il demografo – servono politiche che consentano di attivare una ripresa della fecondità che non sia solo rimbalzo temporaneo dopo l’emergenza della pandemia che porti l’Italia sui valori sopra la media europea, ovvero sui livelli dei Paesi Ue con fecondità più alta (con Francia e Svezia, ovvero attorno a 1,75).
Rispetto a tali Paesi, a parità di fecondità, otterremo comunque meno nascite perché in maggior riduzione è la popolazione in età riproduttiva, le ‘potenziali madri’. Più rapidamente si inverte la tendenza e maggiore potrà, quindi, essere l’effetto sul totale delle nascite. Al contrario, più si diluisce nel tempo l’impatto degli interventi a favore della fecondità e più debole sarà l’impulso che si ottiene sulle dinamiche demografiche”. Per evitare gli scenari peggiori in termini di natalità al 2030, Rosina ha portato gli esempi delle politiche familiari positive in Europa: in Francia, Svezia e Germania.
“La volontà di potenza è sempre ciò che distrugge, la fecondità, la natalità è la speranza di un popolo. Non sono ottimista, perché in ogni società c’è una pulsione di morte e noi abbiamo deciso di voler morire. Per rendersene conto basta vedere come, da vent’anni, questo Paese tratta le proprie scuole e i propri ospedali, figuriamoci chi verrà in futuro. L’ottimismo è un’ideologia del bene che rende passivi, mentre la speranza ha a che fare con la cura del particolare e quindi genera immediatamente azioni”, ha dichiarato lo scrittore Alessandro D’Avenia, per il quale
“generare è sperare”.
E “il generare che significa speranza ha tre aggettivi: poetica, profetica e politica, così diventa attiva e generativa”. Lo scrittore si sente un “uomo di speranza” proprio perché ogni mattina va a scuola e incontra i suoi studenti, di ognuno dei quali, nella sua unicità si prende cura. D’Avenia ha anche posto l’attenzione sul problema dell’aumento di istinti suicidari e di comportamenti autolesivi: “I ragazzi non vogliono togliersi davvero la vita, hanno il timore di non essere mai venuti al mondo perché non siamo in grado di riconoscere la loro unicità”. Tra gli interventi anche quello della influencer Julia Elle, attrice, scrittrice e ideatrice della webserie “Disperatamente Mamma”, che ha tre figli. Secondo l’influencer, non è vero che “parlare della complessità dell’essere genitori contribuisca a non far emergere la bellezza che c’è dietro questa scelta. Anzi,la bellezza dell’essere padri e madri è proprio offerta dal senso che io desidero dare alla mia vita”.
E ha invitato a superare l’idea del “momento giusto” per sposarsi e avere dei figli: “Non bisogna idealizzare il tempo favorevole, perché quel momento perfetto non arriverà mai, non ci sarà mai la sicurezza economica, mai il momento giusto per sposarsi”.