Smartphone: serve un’educazione globale. Dalla Francia arriva la proposta di vietare gli smartphone sotto i 3 anni d’età

Come trasformare la buona intenzione di limitare uso e danni del telefonino in azioni concrete?

Smartphone: serve un’educazione globale. Dalla Francia arriva la proposta di vietare gli smartphone sotto i 3 anni d’età

Smartphone. Chi può farne a meno? Nel mondo di oggi si tratta forse di uno degli oggetti – se si può definire così – più usati, amati e odiati.

Lo usano un po’ tutti o forse un po’ tutti ne sono usati. Gli adulti che girano per strada con la testa bassa e gli occhi fissi sul piccolo schermo (anche attraversando la strada), i giovani che si specchiano nelle sue immense potenzialità di (finta) relazione col mondo: chat, video, social. Non pochi esperti hanno sottolineato come in realtà questa tecnologica “finestra” sia sostanzialmente chiusa, uno specchio che riflette solo l’immagine di chi la guarda.

Degli smartphone non si può non parlare perché sono al centro del nostro mondo, amati e temuti allo stesso tempo. A scuola si discute infintamente sul loro uso e divieto, sulle possibilità educative/didattiche e sui rischi per l’attenzione e l’apprendimento. Di fatto ne sarebbe vietato l’utilizzo in classe, ma andrebbe verificato se e come questa norma sia davvero applicata.

Ora dalla Francia arriva la proposta di vietare gli smartphone sotto i 3 anni d’età (già, perché succede che anche i più piccoli li usino, magari aiutati inconsapevolmente dai loro genitori che ne subiscono il fascino e l’utilità: sono ottimi “silenziatori” rispetto a bimbi che chiedono molto). Non solo. Un rapporto di studiosi, che porta appunto alla proposta del divieto per legge sotto i 3 anni, chiede anche una limitazione significativa fino a 6 anni: accesso limitato a contenuti educativi e sempre sotto la rigorosa vigilanza degli adulti. E poi niente telefonino prima degli 11 anni, e fino a 13 si può usare ma senza connessione a internet. Poi una rigorosa limitazione sull’uso dei social fino a i 18 anni.

In Francia – riferiscono le cronache – la questione è d’attualità in seguito a uno studio commissionato ad un gruppo di esperti dal presidente Macron. Nel rapporto, si mette in evidenza una “strategia di cattura dell’attenzione dei bambini, tutti i trucchi cognitivi sono utilizzati per rinchiuderli nei loro schermi, controllarli, usarli per trarne profitto economico”. E per gli esperti è condivisa l’evidenza sugli “effetti negativi diretti e indiretti, in particolare sul sonno, la sedentarietà che favorisce l’obesità, e la miopia”.

In realtà è da tempo che il mondo della scienza si esprime sui problemi educativi e sanitari legati all’uso diffuso dei telefonini, in particolare da parte dei più piccoli. E anche in Italia ricerche avviate già negli anni scorsi hanno sottolineato l’enorme percentuale di giovani a rischio dipendenza da smartphone. Il problema vero, però, è trovare soluzioni efficaci.

Come trasformare la buona intenzione di limitare uso e danni in azioni concrete? Gli esperti fanno in fretta (relativamente, certo, e con rispetto con il valore delle ricerche) a denunciare i rischi, ma davvero è possibile oggi seguire le indicazioni?

Torniamo all’esempio della scuola e al nostro Paese: quanto e come è difficile mettere in atto le prescrizioni sui telefonini. E come si scontrano spesso divieti e abitudini apprese nell’ambiente di vita in cui sono immersi i più piccoli, a cominciare da quanto avviene nelle famiglie.

Quindi si deve gettare la spugna? Forse no, ma certo il tema della cultura digitale, dell’uso “sano” degli smartphone va ben oltre la questione delle prescrizioni e dei divieti. Chiama in causa uno sforzo di educazione globale che riguarda certo i minori ma prima ancora gli adulti. E ancora una volta la scuola ha molto da dire (e fare).

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Fonte: Sir