Siria senza pace. 400 mila morti e 13 milioni di profughi in nove anni di guerra
Sono 400 mila i morti e 13 milioni i profughi in nove anni di guerra in Siria. E ora l’Unione Europea vara un programma umanitario di 1,3 miliardi di euro per i profughi in collaborazione con il World food program, la Mezzaluna rossa e le autorità turche.
Dopo nove anni di guerra con quasi 400 mila morti e 13 milioni di profughi o in esilio, la Siria resta campo di battaglia. Fra il (“nostro”) Occidente e il (Medio) Oriente, l’onda lunga dell’11 settembre e il tramonto delle primavere arabe, le strategie geopolitiche e le incognite militari sul campo.
Tutto era cominciato il 15 marzo 2011 a Daraa, nel sud, con la rivolta contro Bashar al Assad, il figlio di Hafez, l’erede del sistema fondato sul predominio della minoranza alawita. Stati Uniti, Europa (con la Francia in prima fila) e Nato supportavano la “rivoluzione dei ribelli”. Come la fazione Harakat Nour al-Din al-Zenki di Aleppo, che nel 2014 rapì Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e nel 2016 diffuse il video con la decapitazione di un ragazzino.
Oggi nella Siria in macerie (secondo le stime dell’Onu, 360 miliardi di euro di danni...), sono in trincea l’esercito lealista e le ultime truppe dell’Isis, le Unità di Protezione popolare nel Kurdistan occidentale (Rojava) e le ultime milizie sciite che erano comandate dal generale iraniano Qasem Soleimani. Ma la guerra civile ha definitivamente coinvolto la Russia, con la base navale a Tartus, e la Turchia che ha invaso il territorio a Nordest.
Il 5 marzo Recep Tayyip Erdoğan è stato ricevuto a Mosca da Vladimir Putin. Poi ha fatto tappa a Bruxelles, dove ha sede anche il comando della Nato. Il califfo neo-ottomano e lo zar post-Kgb coltivano un’idea precisa: la gestione dei pozzi di petrolio a Qamishlo e Deir Ezzor (300 mila barili al gorno) in vista della “ricostruzione” della Siria di Assad.
Nel frattempo, è riesplosa la guerra a Idlib, stretta fra Aleppo e il confine turco. Nella piccola provincia del Nordovest sono asserragliati gli uomini di Ansar al-Islam (“Ausiliari dell’Islam”) che resistono agli assalti dell’esercito fedele ad Assad e ai bombardamenti.
Di fatto, in Siria si combatte anche per procura degli interessi religiosi e politici del quadrante. I vecchi “ribelli” sono riuniti nell’Esercito nazionale siriano, che comprende Tahrir al-Sham (fedeli a Al-Qaeda), i salafiti di Harid al-Mu’minin (“Incita i credenti”, sostenuti dall’Isis), i turcomanni cinesi di Katibat Turkestani e i ceceni di Ajnad al-Kavkaz (“I soldati del Caucaso” che erano riparati in Turchia).
E tutti giocano sulla pelle dei civili. Nella sola provincia di Idlib si erano ammassate 3 milioni di persone, diventate l’arma di ricatto di Erdogan nei confronti dell’Unione Europea. La Turchia ne ha altrettanti nei campi profughi, mentre quasi due milioni di siriani sono ospitati dal Libano che da decenni offre asilo a oltre 250 mila palestinesi.
Recentemente, nello Spazio Europa di via Quattro Novembre a Roma, è stato illustrato il più grande programma umanitario finanziato dall’Unione Europea. Si chiama Emergency social safety net. Vale 1,3 miliardi di euro. Viene gestito in collaborazione con il World food programme dell’Onu, la Mezzaluna Rossa e le autorità turche. Funziona così: ogni profugo siriano riceve 19 euro al mese (più ricariche trimestrali in base alle dimensioni della famiglia), che alimentano la speciale “carta di debito” che permette prelievi bancomat e pagamenti diretti nei negozi.
Janez Lenarčič, Commissario europeo per la gestione delle crisi, afferma: «L’Ue continua a fare la differenza nella vita dei rifugiati in Turchia. Hanno la possibilità di tornare alla normalità dopo essere fuggiti dalle violenze e di soddisfare i propri bisogni primari, come l’affitto o il cibo».
E Silvia Biondi, capo programmi in Turchia per il Wfp, spiega: «Nato nel 2016, il progetto è cresciuto molto e ha come obiettivo primario di restituire ai rifugiati siriani, la gran parte dei quali vive in grandi centri urbani, una parvenza di normalità e di quotidianità che incoraggi l’inclusione sociale, fattore che resta una forte criticità nel paese».
Da un altro punto di vista, il generale Mario Arpino (ex capo di stato maggiore della Difesa) traccia un profilo poco rassicurante di Erdogan nell’attuale scenario internazionale: «Sa benissimo che la posizione strategica della Turchia, in termini geopolitici, fa gola a molti. Non mi date i Patriot? Compro dai russi gli S-400. L’Unione Europea stringe i cordoni della borsa per il mantenimento dei profughi nel territorio turco? Apro i campi e li lascio andare. Ci cancellate dal programma F-35? Mi faccio dare dai russi i SU-57, che sono meglio e costano meno. Non volete più vendere bombe, cannoni controcarro e munizioni intelligenti? Guardate il potenziale della mia industria bellica. Non volete che i cittadini turchi vengano in Europa senza visto? Attenti, perché da voi ne ho già più di tre milioni. Mi volete isolare? Russia, Cina e India sono i miei corteggiatori più assidui».