Si può parlare della riforma delle scuole medie al di là degli slogan
Pensare di cambiare le scuole medie non è un’idea peregrina, ma da qui a definirle un “buco” o “un parcheggio” ce ne passa.
“Sulla scuola non si può parlare per slogan, è una cosa seria”. Parole sante, verrebbe da dire. Sono della sottosegretaria all’Istruzione Lucia Azzolina (5 Stelle) che ha replicato così alle recenti dichiarazioni del leader della Lega Matteo Salvini. Questi, durante in un incontro a Capriano Briosco in provincia di Monza, si è avventurato nei meandri delle politiche scolastiche sostenendo di voler lavorare “per eliminare i 3 anni di ‘buco’ della scuola media”. La secondaria di primo grado – questo il nome giusto, ha ricordato tra l’altro, replicando, la sottosegretaria Azzolina – per l’esponente leghista sarebbe infatti “un parcheggio” e un unicum italiano: nessun altro Paese europeo avrebbe un sistema simile.
La scuola è una cosa seria ed effettivamente gli slogan non aiutano. Tuttavia nell’esternazione salviniana abita l’eco di questioni importanti. La revisione del sistema scolastico italiano, anche sul versante dell’organizzazione generale – e dell’articolazione degli ordini e gradi di scuola – è stata infatti più volte messa in discussione. E non durante comizi o incontri informali, ma sulle cattedre universitarie e negli uffici del Ministero. Il problema – serio (torna la parola-chiave) – è quello dell’adeguatezza pedagogica di un curricolo che per diversi esperti fa acqua, con le scuole “medie” indicate dai più come l’anello debole del percorso scolastico.
Si ricorderà, negli anni passati, il tentativo di riforma organica proposta dal ministro Luigi Berlinguer, arenatasi sull’ultimo miglio e poi passata nel dimenticatoio. Raccoglieva l’esigenza di una maggiore funzionalità del sistema d’istruzione, cercando di adeguare il curricolo alle esigenze dei ragazzi e anche alla necessità di avere un’uscita dalla scuola secondaria verso l’università un anno prima rispetto al sistema in vigore, cercando l’uniformità con altri sistemi scolastici europei.
Di fatto Berlinguer “accorpava” gli anni delle medie – che scomparivano dall’ordinamento – al ciclo primario (previsto di sei anni) e al secondario (ancora 6 anni). Complessivamente gli anni di frequenza si riducevano da 13 a 12 (18-15 se si considera la scuola dell’infanzia, dai 3 anni di vita, vera e propria scuola anch’essa).
Si fecero allora – era la fine del Novecento e si arrivò ai primi mesi del 2000 – dibattiti e discussioni di ogni genere per poi concludere la “riforma dei cicli” con un fallimento. Cambiò il governo e non se ne fece nulla. Di lì a poco mise mano alla scuola il ministro Letizia Moratti. E via con un’altra riforma.
Insomma, pensare di cambiare le scuole medie non è un’idea peregrina. Ma da qui a definirle un “buco” o “un parcheggio” ce ne passa e certo – come ha richiesto la sottosegretaria Azzolina – occorre rispettare studenti e personale, docente e non docente. “Ho sempre odiato la politica per slogan – ha spiegato l’esponente del Governo – e ho provato sempre un certo imbarazzo rispetto a quei politici che di scuola non sanno nulla”.
Intervenire sulla scuola non è mai facile. E ancora meno facile è farlo in maniera condivisa, cosa che invece sarebbe l’ideale, visto che il sistema di istruzione dovrebbe essere un bene comune di tutto il Paese e non il luogo di battaglie di parte. Gli slogan possono servire a provocare. Per le “cose serie” serve indubbiamente qualcosa di più.