Sì-Tav. A Torino va in scena la partecipazione in piazza: basta dire solo dei “no”
Nato da un movimento, anzi da diversi movimenti spontanei, quanto va in scena in piazza Castello a Torino sabato 10 novembre è qualcosa di inedito. Una manifestazione che nelle intenzioni degli organizzatori deve essere “pacifica e garbata”, senza bandiere se non quella italiana e quella europea, soprattutto senza la politica dei partiti
Non solo Tav, ma qualcosa di più e di più vasto. Che va oltre la necessità di realizzare una linea ferroviaria. Quanto sta accadendo a Torino, potrebbe essere il segnale di una rinnovata presa di coscienza dei cittadini nei confronti dell’importanza di partecipare alle decisioni cruciali per un territorio così come per il Paese intero.
Nato da un movimento, anzi da diversi movimenti spontanei, quanto va in scena in piazza Castello a Torino sabato 10 novembre è qualcosa di inedito. Una manifestazione che nelle intenzioni degli organizzatori deve essere “pacifica e garbata”, senza bandiere se non quella italiana e quella europea, soprattutto senza la politica dei partiti. Tutto pensato e realizzato nel giro di quindici giorni o poco più. Prima una raccolta firme in favore della Tav, poi una seconda raccolta firme per dire “ci troviamo tutti in piazza” e per chiedere che Torino riparta davvero, poi le imprese e i lavoratori che si raccordano e in poche ore mettono insieme praticamente tutto il ventaglio delle rappresentanze del sistema economico locale attorno all’idea che così non va. Un solo concetto comune: basta dire solo dei “no”. Quindi “Sì Tav”, “Sì Lavoro” e poi “Sì Torino”, sì ad un futuro che deve essere diverso da quello che oggi si prospetta, un futuro fatto di investimenti, attenzione agli altri, benessere che pare sfuggito di mano a molti, un futuro fatto appunto di condivisione e partecipazione.
Tutto nato utilizzando la potenza comunicativa del passaparola e dei social, ma soprattutto la forza del sentimento di amore verso il proprio territorio e della volontà di costruire un presente più vivibile e un futuro migliore.
Ma cosa è accaduto? Alcune circostanze saltano agli occhi. Come la volontà di escludere per davvero tutto ciò che sa non di politica ma di partiti. Niente bandiere di partito, hanno chiesto gli organizzatori. Oppure l’origine di una parte della manifestazione: un gruppo di donne manager che hanno lanciato su Facebook l’idea di ritrovarsi in piazza e che in poche ore hanno raccolto migliaia di adesioni. E poi ancora l’assolutamente nuovo coagulo fra imprese e lavoro attorno al tema dello sviluppo. Un’idea che, anch’essa in poche ore, ha raccolto 33 sigle associative di vario genere che hanno deciso di scendere in strada compatte e senza distinzioni. Evento nell’evento nella città industriale per antonomasia, teatro di scontri di fabbrica anche cruenti in passato e oggi ancora un po’ smarrita, quasi orfana di una Fiat che ha intrapreso altre strade ma che ancora conta nei pensieri dei torinesi.
Quella Torino che rimane ancora oggi una “città laboratorio” prima in Italia.
Poi ci sono i partiti e le Istituzioni. I primi appaiono smarriti e comunque stanno tentando di salire sul nuovo carro che sta passando. Le seconde sono divise fra una Amministrazione comunale – il cui Consiglio ha votato contro la Tav e il cui Sindaco ha dovuto poi precisare il suo ruolo di garante verso tutti – e una regionale che si batte impavida per la realizzazione dell’opera (arrivando a dire che “ce la pagheremo noi se servirà”). Ma anche qui ciò che conta non è solo la Tav: partiti e istituzioni si sono ritrovati sotto il palazzo non gruppi organizzati loro pari, nemmeno sindacalisti agguerriti oppure antagonisti senza quartiere, ma cittadine e cittadini che chiedono ascolto e partecipazione.
Non a caso le 33 sigle della comunità economica locale hanno usato il termine “cittadini” per identificarsi tutti.
Insomma, a guardare la cronaca torinese di questi giorni, torna in mente una canzone di Giorgio Gaber che diceva: “Libertà è partecipazione”. Difficile dire cosa accadrà a Torino in piazza e dopo la piazza. Ma è certo invece quello che è già accaduto: ci si è ricordati dell’importanza della partecipazione e quindi della libertà che non è, come cantava sempre Gaber, “star sopra un albero”, ma scendere e appunto partecipare.