Rsa: per i malati di Alzheimer e demenze, “cambiare è necessario”
Il webinar organizzato dalla Fondazione Maratona Alzheimer affronta il tema di come è stata gestita l’emergenza sanitaria nelle residenze sanitarie assistenziali e di come migliorarle. A parlarne l’onorevole Sandra Zampa, esperta e consulente del ministero della Salute Speranza, e il medico Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione Italiana Psicogeriatria
Com’è stata gestita l’emergenza sanitaria nella Rsa? Dopo la lezione che ci ha dato questa pandemia, come andrebbero cambiate queste strutture? È il tema del webinar “Residenze per anziani: cambiare è necessario”, organizzato nei giorni scorsi dalla Fondazione Maratona Alzheimer come ultimo appuntamento del ciclo #MaratonaAlzheimerTour2021. Sul tema delle difficoltà delle Residenze Sanitarie Assistenziali si è sentito parlare tanto: di chi sono state le responsabilità dei malfunzionamenti? E come superarli? A discuterne l’onorevole Sandra Zampa, esperta e consulente del ministero della Salute Speranza e referente del Partito democratico per la sanità, e il medico Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione Italiana Psicogeriatria e vicepresidente dell’Alzehimer fest. In apertura, un momento di introduzione narrativa e artistica ha visto la scrittrice Valentina Preti leggere un passo del suo libro “Ci ho fatto caso”, che racconta la storia di una giovane donna che inizia a frequentare la casa di riposo del paese dopo che sua nonna viene ricoverata lì.
“È noto che la gestione della pandemia ha costretto a soluzioni molto drastiche, che non tenevano in conto le differenti situazioni, sia sociali che sanitarie – afferma Sandra Zampa –. Le persone sono state tutte raggiunte da una decisione molto difficile e molto radicale, quella dell’isolamento sociale. In particolare, le persone molto anziane, che vivono nelle Rsa, hanno pagato un prezzo molto alto, con la loro salute e a volte con le loro vite. In una prima fase, proprio perché le residenze sono rimaste aperte senza sufficienti controlli, gli anziani sono stati contagiati velocemente. È diventato immediatamente chiaro che occorresse emanare circolari per la messa in sicurezza delle residenze, ma questo ha fatto sì che le persone venissero colpite doppiamente: era come essere chiusi dentro a un pagliaio che poteva prendere fuoco, e contemporaneamente non poter avere contatti con la famiglia all’esterno”.
Durante il periodo della pandemia, nelle Rsa sono infatti emerse tutte le criticità di un sistema che aveva e ha ancora tante contraddizioni. L’isolamento ha provocato un forte peggioramento delle facoltà dei pazienti, in particolare gli anziani con demenza o Alzheimer, facoltà che non possono essere più recuperate.
Inoltre, la malattia dell’Alzheimer ha provocato un’incidenza da Covid più alta rispetto al resto della popolazione. “La chiusura, l’isolamento e la solitudine produce un danno ancora più grande sulle persone malate di demenza e Alzheimer, cioè aggrava la malattia – continua Zampa –. Questo è dovuto alla depressione e alla mancanza di stimoli cognitivi. Dopo la chiusura del primo lockdown, è risultato evidente che fosse necessario mettere in sicurezza le residenze, garantendo comunque un minimo di contatto. Esistono alcune esperienze virtuose: in una struttura in Romagna sono bastati quattro tablet per permettere alle persone di collegarsi con figli e nipoti tutti i giorni: vedere il viso, e non solamente sentire la voce, è una cosa importantissima per i pazienti”.
A novembre 2020, ricorda Zampa, è arrivata la prima circolare destinata alla riapertura delle Rsa, seguita il 4 dicembre da una seconda circolare per le residenze psichiatriche e le disabilità. L’8 maggio 2021, dopo tanti appelli e lotte di associazioni e familiari, l’ordinanza del ministro Speranza consente finalmente le visite in sicurezza alle Rsa. “Le Regioni hanno iniziato a emanare disposizioni per le riaperture delle Rsa, ma in alcuni casi ci sono lentezze e inefficienze – afferma Zampa –. Com’è possibile che una cosa di questo genere possa ancora avvenire? Si tratta della violazione del diritto alla libertà e all’autonomia”. La necessità sarebbe quindi quella di avere un censimento delle Rsa in Italia, con un albo nazionale, che permetta uniformità nel trattamento e nel livello di assistenza. “Sono le Regioni che accreditano le Rsa – continua Zampa –. In questo momento di crisi il titolo V della Costituzione ha dimostrato tutti i suoi limiti: io non penso che dobbiamo immaginare una nuova centralizzazione della sanità, penso però che siamo di fronte alla presa d’atto che le cose così non possono funzionare”.
Quindi, in futuro, dove devono andare le case di riposo per poter supportare adeguatamente le persone anziane fragili? Secondo Marco Trabucchi, sono tre gli elementi fondamentali che le Rsa devono essere in grado di garantire: la salute, la libertà e la dignità degli ospiti, e gli affetti, sia tra i pazienti, sia con gli operatori e con i parenti. “Il problema di dove andranno le Rsa è un problema mondiale: l’alta mortalità nelle case di riposo è stata una costante di tutto il mondo – racconta Trabucchi –. La questione dell’assistenza residenziale va studiata e va seriamente presa in analisi: non ci siamo mai davvero impegnati a costruire nuovi modelli”.
Secondo Trabucchi, manca un controllo sulle Rsa da parte delle Regioni e manca anche il progresso da parte dell’esperienza: “Non basta sviluppare l’assistenza domiciliare, dobbiamo anche far sì che le Rsa vengano incluse maggiormente nel nostro tessuto sociale, in un dialogo costante con la comunità – conclude –. Serve più formazione, più attenzione alle relazioni, mettere insieme la capacità tecnica con la capacità umana. Adesso speriamo che il Pnrr sia l’occasione per potenziare e innovare l’intervento nelle strutture, anche se nel Piano manca un’attenzione alla rete e al mettere in connessione i vari tipi di sevizi. E poi c’è un tema di sostenibilità nel tempo: fino al 2026 ci sono i fondi, e dopo? Il piano sarà una sperimentazione, ma poi come sceglieremo cosa portare avanti?”.
Alice Facchini