Riaprire il terzo settore: come si applicano i protocolli di sicurezza
Per farlo è necessario riprogettare servizi e attività per prevenire ogni forma di contagio, ma anche rafforzare la propria capacità di accountability e di comunicazione. L’intervento di Paolo Bandiera, direttore affari generali di Aism, al seminario di formazione sul tema di CSVnet
Come applicare i protocolli di sicurezza nel terzo settore? Come declinarli nelle diverse realtà? Qual è l'approccio giusto? A queste e altre domande ha risposto Paolo Bandiera, avvocato e direttore degli Affari Generali di Aism, Associazione italiana sclerosi multipla, intervenuto al seminario di formazione online online organizzato da CSVnet sul tema “Volontariato e sicurezza: le indicazioni per il terzo settore nella fase 2” lo scorso 25 maggio. Un intervento, quello di Bandiera, per dare delle indicazioni operative comuni sull’applicazione della normativa sulla sicurezza per gli enti del terzo settore.
Come ribadito a più riprese, la Conferenza Stato-Regioni ha pubblicato le linee guida sulle riaperture delle attività economiche e produttive, integrando anche quelle per i circoli ricreativi e culturali. Se il quadro normativo nazionale è piuttosto stabile, quello locale è in continua evoluzione, con alcune Regioni che hanno fatto da apripista realizzando linee guida articolate su specifici comparti di attività, e altre che stanno ancora elaborando documenti analoghi, provocando un mancato allineamento da territorio a territorio.
L’intervento di Bandiera fa riferimento all'esperienza dell’Aism che – come ha ricordato lo stesso direttore – è un unico soggetto di diritto con oltre 100 sedi con diverse peculiarità. La strada intrapresa per conciliare le tante specificità territoriali è stata quella di dare linee guida nazionali di indirizzo ma mantenendo un’attenzione alle singole esigenze.
Ecco alcuni dei principi seguiti da Aism ed esposti dall’avvocato in questo delicato percorso.
COMUNICARE, FORMARE E RESPONSABILIZZARE: LA PREVENZIONE SI FA SOLO INSIEME
Anche i protocolli più raffinati e le check list più severe possono fallire in mancanza di un atteggiamento corretto da parte dei singoli individui. Questo significa che per applicare pienamente i protocolli bisogna imparare a comunicare in modo adeguato la strada intrapresa e responsabilizzare tutti. Ma non solo. È anche necessario superare la logica del mero trasferimento di indicazioni comportamentali per riuscire a influenzare gli atteggiamenti personali coinvolgendo i diretti interessati. Comunicare, quindi, ma anche formare adeguatamente le risorse impiegate.
Il tema della sicurezza, infatti, ha importanti risvolti anche per quanto riguarda la reputazione degli enti stessi. Il terzo settore ha sviluppato una crescente cultura dell’accountability, rafforzata ancora di più dalla riforma. In questa fase rendere conto è fondamentale: è un esercizio di applicazione di responsabilità concreta delle indicazioni sulla sicurezza nei confronti degli stakeholder. In questo senso, le attività svolte per la tutela della salute e il contagio da Covid 19 dovrebbero essere rendicontate anche nel bilancio sociale.
Come immaginare un sistema di comunicazione interna ed esterna per veicolare quello che gli enti stanno facendo in tema di sicurezza? Una cosa è certa: le misure di prevenzione del contagio comporteranno inevitabilmente dei costi aggiuntivi e saranno investimenti fatti in un clima di assoluta incertezza. Al momento, infatti, non si può essere sicuri che alcuni oneri economici di oggi siano duraturi o risultino scarsamente utili tra qualche settimana. Giusto per fare un esempio: se uno schermo in plexiglas nei front office oggi può essere uno strumento importante di cautela, domani potrebbe non essere più necessario. La linea da seguire, quindi, rimane sempre quella di un’attenzione morale oltre che funzionale, rispettando i principi già presenti negli statuti e nelle carte valoriali degli enti.
RIPROGETTARE E DOCUMENTARE PER COSTRUIRE NUOVI MODELLI
Il terzo settore è chiamato a ripensare servizi e attività con la consapevolezza che questo percorso non può essere una mera applicazione delle norme ma significa riorganizzare il proprio modo di funzionare e capire se sia possibile definire modelli di funzionamento in formula mista, alternando attività in presenza e in remoto.
Fare prevenzione, mitigazione e contenimento dei rischi significa, quindi, attivare un nuovo approccio organizzativo, in particolare calare alcune indicazioni all’interno di un processo già esistente. L’attenzione deve essere sempre alta anche per contenere gli illeciti che possano ricadere sulle persone e sullo stesso Ente, coinvolgendo – se presenti – le figure previste negli organigrammi nella gestione della sicurezza.
Altra dimensione fondamentale è quella della documentazione per cui diventa fondamentale avere la capacità di lasciare traccia di quello che si sta facendo. Esistono, ad esempio, diverse schede che dovranno essere compilate per monitorare gli accessi ai circoli ricreativi, i cui dati dovranno essere mantenuti per 14 giorni. A questi strumenti va affiancata anche la rendicontazione dei processi decisionali che hanno portato a determinate scelte e che saranno diversi in base all’ente. Nel caso di AISM, ad esempio, le modifiche al modello 231 e al documento di valutazione dei rischi sono state condivise con l’organismo di vigilanza e con un passaggio decisionale anche nel consiglio di amministrazione, in modo che ogni scelta sia pienamente condivisa e vi sia piena consapevolezza.
COME COSTRUIRE UN PROTOCOLLO OPERATIVO INTERNO?
La linea di Aism sul tema è quella di dare indicazioni generali a prescindere dallo specifico comparto, rimandando poi a singoli indirizzi applicativi in base alle differenti attività. Le guide nazionali lasciano spazi di auto progettazione e di personalizzazione, in modo da calare le indicazioni ai singoli contesti. Nei casi in cui si svolgano attività miste con altre reti o altri soggetti è fondamentale predisporre protocolli condivisi.
La documentazione, infine, deve essere in linea con i protocolli operativi interni che ogni ente si propone di seguire. Su questo punto è importante definire regole chiare e applicabili, coerenti con la singola realtà e verificabili. Il sistema di autocontrollo, infatti, deve essere pienamente monitorabile.
PROGRESSIVITÀ E PERSONALIZZAZIONE: RIPARTIRE SOLO QUANDO SI È DAVVERO PRONTI
Una regola fondamentale da seguire in questa fase è quella di non lasciarsi travolgere dalla fretta di riaprire. Non sempre ci sono le condizioni per farlo e in questi casi è importante comunicare ai propri utenti e stakeholder il processo avviato e provare a ripartire per blocchi di attività.
Per garantire la reale applicazione dei protocolli, sarà importante saperli calare nei cingoli contesti. Ogni sede, ogni organizzazione, dispone di specifici spazi con caratteristiche diverse. Ma non solo. Esistono anche utenti e fruitori con esigenze comunicative diverse, che parlano lingue diverse, che hanno disabilità o che in generale frequentano questi spazi con funzioni diverse. Basti pensare ai giovani in servizio civile, ai lavoratori, ai volontari. Persone con esigenze diverse, per cui è fondamentale saper modulare e personalizzare le misure di sicurezza in modo da non lasciare indietro nessuno. Non è possibile identificare solo alcuni target: di sicuro alcuni devono essere maggiormente tutelati ma il livello minimo deve essere garantito per tutti.
LAVORATORI FRAGILI E CORRESPONSABILIZZAZIONE, COME TUTELARE TUTTI
Proteggere i lavoratori fragili deve essere una priorità condivisa. È necessario trovare un maggior livello di applicazione della vigilanza sanitaria anche rispetto alle aziende che non sono sottoposte a quest'obbligo.
Altro tema fondamentale è la co-responsabilità. In molti contesti si sta utilizzando un modello di autocertificazione in cui siano le persone stesse a dichiarare che non siano entrati in contatto con casi di contagio e di non avere sintomi. Gli enti non profit, infatti, non hanno gli strumenti per fare questo tipo di anamnesi e ricostruzione di percorsi individuali: è essenziale quindi fare in modo che ciascuno assuma la responsabilità dei propri comportamenti per sé e per gli altri. (Lara Esposito)