Rapporto Censis 2019: “Una società ansiosa e macerata dalla sfiducia”. Ma non tutto è perduto
Il Rapporto vede “nubi nere all'orizzonte dell'economia mondiale” e gravi fenomeni di “corrosione” delle “giunture” e delle “guarnizioni” del sistema Paese. “La società italiana – rileva il Censis nelle Considerazioni generali, che danno la chiave di lettura del Rapporto – ha guardato a lungo inerte il cedimento delle sue strutture portanti”, come se si trattasse dell'ennesimo episodio del ciclo di crisi e ripartenze, “con un cinico adeguamento alla navigazione inerziale”. Ora, però, “a questo cedimento, puntellando se stesso, il nostro Paese sta cercando una soluzione”, “vive e sente uno spirito nuovo”. “Sé in sé rigira”, osserva il Censis citando Dante
“Piastre di sostegno” strutturali e “muretti a secco” innalzati a livello di base per arginare il declino e provare a reagire allo sgretolamento. Sono questi gli elementi che spiccano nel paesaggio descritto dal 53º Rapporto Censis. Il Rapporto vede “nubi nere all’orizzonte dell’economia mondiale” e gravi fenomeni di “corrosione” delle “giunture” e delle “guarnizioni” del sistema Paese. “La società italiana – rileva il Censis nelle Considerazioni generali, che danno la chiave di lettura del Rapporto – ha guardato a lungo inerte il cedimento delle sue strutture portanti”, come se si trattasse dell’ennesimo episodio del ciclo di crisi e ripartenze, “con un cinico adeguamento alla navigazione inerziale”. Ora, però, “a questo cedimento, puntellando se stesso, il nostro Paese sta cercando una soluzione”, “vive e sente uno spirito nuovo”. “Sé in sé rigira”, osserva il Censis citando Dante.
Il quadro della situazione è forse più scuro di quello tracciato negli ultimi Rapporti, se si parla di “una società ansiosa di massa macerata dalla sfiducia”.
“Nell’eccezionale cambiamento epocale, condensato in pochissimi anni – scrive il Censis – il furore di vivere degli italiani li ha riportati tenacemente ai loro stratagemmi individuali. Finché l’ansia è riuscita a trasformarsi in furore, e il furore di vivere non è scomparso dai loro volti, non c’è stato alcun crollo. Ma ora c’è un prezzo da pagare”. E il primo prezzo da pagare è proprio la sfiducia, “un virus che si annida nelle pieghe della società” ed è originato proprio da “disillusione, stress esistenziale e ansia”. Il 75% degli italiani, rileva il Rapporto, non si fida più degli altri. L’altro prezzo da pagare sono “le crescenti pulsioni antidemocratiche”. Il 48% degli italiani, infatti, oggi dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai). Il Rapporto mette in luce anche “il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita”. Rispetto al 2007, nel 2018 si contano 321 mila occupati in più, ma nel frattempo il boom del part time involontario e di altre forme di lavoro ridotto ha fatto sì che oggi le ore lavorate siano 2,3 miliardi in meno rispetto al 2007 e le unità di lavoro equivalenti 959.000 in meno. “Più occupati, meno lavoro”, insomma. Questa dinamica si intreccia con quello che il Rapporto definisce “lo tsunami demografico”. Gli indicatori demografici descrivono un’Italia “rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite” e con conseguenze particolarmente gravi per le regioni meridionali, investite da un nuovo “grande esodo”. Su 107 province, solo 21 non hanno perso popolazione: 6 sono in Lombardia e 9 nel Nord-Est.
Se nel chiaroscuro che segna inevitabilmente le grandi indagini sociali quest’anno prevalgono le tinte fosche, non tutto è perduto. Anzi. “Abbiamo visto in questi mesi – sottilinea il Censis – l’accentuarsi di reazioni positive, di contrapposizione a una prospettiva di declino”.
Si rafforza “l’impressione che l’adeguamento verso il basso non possa proseguire senza limiti, senza porre argini o individuare punti di sostegno per frenare lo sgretolamento, per provare ad ancorarsi e tentare un cambio di direzione”. Ecco allora che il Censis individua cinque “piastre di sostegno” e la prima “è nella dimensione manifatturiera, industriale, del nostro sistema produttivo e nella sua capacità di innovare e, almeno in parte, di trainare la crescita”. Una seconda “piastra di ancoraggio” è “nel consolidamento strutturale in alcune aree geografiche vaste del nostro Paese: dal nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna alla fascia dorsale lungo l’Adriatico”. La terza piastra individuata dal Censis “è la nuova sensibilità ai problemi del clima, della qualità ambientale e della tutela del territorio” che “muove a una spontanea e diffusa partecipazione”. La quarta piastra è il “risparmio privato” che “ha permesso una sostanziale tenuta sociale”, anche se “sembra restare una polizza assicurativa più che una opportunità” di sviluppo. La quinta piastra di sostegno strutturale il Rapporto la coglie nella “dimensione europea”.
A queste cinque “piastre” si affiancano i “muretti a secco”, vale a dire “una multiforme messa in opera di infrastrutture di contenimento dei fenomeni erosivi generati dalla difesa solitaria dei singoli, grazie a processi temporanei e tempestivi di appoggio”.
“Sono esempi di muretti a secco – si legge nel Rapporto – la fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative nei quali diverse migliaia di giovani tentano una esperienza imprenditoriale”, ma anche “i tanti festival, sagre, eventi culturali di ogni genere e scopo, senza che vi sia in pratica città o borgo che non ne progetti o organizzi uno”. “Sono eventi – spiega il Censis – che valgono come affermazione di identità e di comunità locale, occasione economica per l’attrazione turistica, luogo di elaborazione di prospettive e di confronto intellettuale, prosceni per la tecnologia, la ricerca, l’innovazione, l’educazione”.
A fronte di questa reazione diffusa spicca ancora di più il “fallimento” della politica. “I limiti della politica attuale – afferma il Censis – sono nella rassegnazione a non decidere. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito se stessa”. Il decennio che si conclude rimane politicamente incompiuto e così “viviamo in un Paese privato di un passaggio in avanti a lungo promesso, ma che non c’è mai stato”, come dimostrano le “tante, troppe, riforme strutturali annunciate, ma mai concretamente avviate”.