Quando il gas cambia passaporto: prodigi (e beffe) dell’interdipendenza
Dai vasi comunicanti dell’interdipendenza la Cina trae l’ennesima opportunità di fronteggiare le avversità cavalcando quelle altrui. Nonostante la contrazione recessiva della domanda interna, il Gigante ha toccato il record di importazione di gas russo.
L’inerzia di Pechino di fronte alle portaerei Usa oltre lo Stretto di Taiwan potrebbe avere confermato l’immagine di una “tigre di carta” che bluffa sulle proprie capacità ritorsive. Ma il giudizio non terrebbe conto del suo repertorio di risorse, né della mentalità cinese trasfusa nella filosofia maoista: evitare lo scontro frontale e trasferire su terreni perimetrali l’antagonismo con un avversario potente, emularne i punti di forza e sfruttarne le vulnerabilità. Se vogliamo, anche il socialismo di mercato sarebbe un frutto coerente di tale impronta.
L’attitudine pare esaltarsi con l’interdipendenza globale: da molti salutata come reticolo foriero di pace e prosperità, da altri vista come forma di neocolonialismo che elude i costi del dominio diretto, esternalizzando e commissionando mansioni mediante gli automatismi di un sistema egemonico che, se rifiutato, nega garanzie e punisce con l’isolamento e la povertà. La Cina invece l’ha cavalcata a suo profitto: ha sì accettato il ruolo di “fabbrica del mondo”, ma sfuggendo a una funzione servente. Del resto, se seguiamo l’itinerario che ha condotto gli Usa allo status odierno (da colonia a colosso industriale-militare, dall’isolazionismo a potenza regionale e infine planetaria), scopriamo diverse analogie evolutive. La Cina ha imitato – in molti casi superandolo – il “maestro” occidentale, al contempo impermeabilizzandosi selettivamente ai suoi modelli culturali. E ora, resasi strutturalmente indispensabile al sistema, intende sublimare la piattaforma economica in hard power geopolitico a tutto tondo.
Le carte in mano al Gigante non nascondono un bluff. Neanche sul versante militare. Settimane fa il Wall Street Journal ha dato notizia di una simulazione condotta a Washington nell’ipotesi di un attacco a Taiwan: un conflitto convenzionale tra Cina e Usa si risolverebbe in un costoso “pareggio” per entrambi gli attori. Già, perché Pechino ha rivoluzionato le proprie dottrine militari guardando all’esempio statunitense, eleggendo l’arma aeronavale come cervello interforze, potenziando la componente anfibia e perfezionando per sé le strumentazioni hi-tech realizzate per conto terzi.
Ma nell’imminenza lo scenario critico che coinvolge Cina e Occidente è energetico, connesso ai paradossi delle sanzioni alla Russia. Per limitarci al gas troviamo l’Europa in un’affannosa corsa contro il tempo, per affrancarsi da Mosca prima che questa anticipi la chiusura dei rubinetti che, seppur dilazionata in ripetute interruzioni del flusso, precluderebbe la sicurezza di uno stoccaggio completo durante il prossimo inverno. Oggi non esistono produzioni in grado di sostituire la fonte russa, mentre Gazprom conta diversi clienti alternativi. Il che fa riflettere sul mantra per cui urgerebbe mettersi al riparo sotto il “tetto del gas”, efficace quanto il limite prezzario che l’acquirente può imporre a sé ma non al fornitore, il quale ha altri a cui vendere. Quando poi, per giunta, il costo del gas distribuito in Europa è determinato dagli operatori del mercato virtuale (title transfer facility) con base in Olanda. La via d’uscita sarebbe accelerare la transizione verde. Ma in uno slancio di inevitabile schiettezza, al Forum di Bled, von der Leyen ha ammesso che essa accrescerà la dipendenza da esportatori di batterie, microconduttori e terre rare. In primis dalla Cina che, per via della posizione nell’economia globale, non è sanzionabile come la Russia. Eppure gli Usa potrebbero essere tentati di fiaccare con un’unica mossa Pechino e Mosca – mai così vicine e cointeressate – richiedendo agli “alleati” di allentare particolari nessi con la prima, come già fatto nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
Eppure dai vasi comunicanti dell’interdipendenza la Cina trae l’ennesima opportunità di fronteggiare le avversità cavalcando quelle altrui. Nonostante la contrazione recessiva della domanda interna, il Gigante ha toccato il record di importazione di gas russo. Il motivo è presto detto: l’idrocarburo russo si liquefa, cambia passaporto e diventa eccedenza cinese pronta per essere rivenduta ad altri energivori. Sicché, con la produzione di gnl statunitense al limite, se Mosca non si impoverisce Pechino d’altronde si arricchisce. Con un aggiramento che, per i clienti europei, si traduce in prezzi maggiorati. Peraltro praticabile sinché la ripresa cinese non avrà assorbito ciò che oggi è surplus, cogliendo l’Europa esposta al nuovo colpo dell’identico boomerang.
Anche per questo si impone una rapida riqualificazione del ruolo politico e diplomatico del Vecchio Continente, sull’orlo della dell’irrilevanza definitiva. Che sia questa la leva per propiziare la pace in Ucraina? Magari – usando concetti del magistero di papa Francesco – con un pizzico di elementare lungimiranza che rilanci le interdipendenze realmente accomunanti, velate dalle apparenze divisive che fuorviano i governi. Giovi la lezione dell’apprendista stregone, che fece zampillare acqua dal pavimento senza essersi procurato la formula per arrestare l’allagamento.
Giuseppe Casale*
*Pontificia Università Lateranense