Proteste in Iraq. Card. Sako (patriarca): “Basta sangue. Governo e manifestanti dialoghino per trovare un accordo”
Proseguono le proteste in Iraq dove ieri sono rimaste uccise almeno 44 persone negli scontri scoppiati tra manifestanti e forze di sicurezza a Nassiriya e Najaf. Un bagno di sangue che spinge il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, all'ennesimo appello al dialogo: "Basta alla violenza e alla repressione. Governo e manifestanti si ritrovino intorno ad un tavolo per trovare un accordo"
Sono almeno 44 le persone rimaste uccise ieri negli scontri scoppiati tra manifestanti e forze di sicurezza nel Sud dell’Iraq. Fonti della sicurezza parlano di almeno 33 persone morte a Nassiriya, capoluogo della provincia di Dhi Qar, mentre altre 11 sono decedute nella città santa sciita di Najaf, dove il giorno prima era stato dato alle fiamme il consolato iraniano. Un gesto che mostra in modo evidente come la crescente presenza e influenza iraniana nella politica del Paese – guidato dal premier sciita Adel Abdul Mahdi – siano sempre più mal digerite dagli iracheni. Dall’inizio delle proteste anti-governative dello scorso ottobre il bilancio parla di circa 400 morti e 15.000 feriti.
“Il bilancio della repressione delle proteste si aggrava ogni giorno di più – dichiara al Sir il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako – ed è tempo di dire basta alla violenza e alla repressione. Governo e manifestanti si ritrovino intorno ad un tavolo per trovare un accordo, un compromesso che salvaguardi la vita delle persone e il futuro del Paese. Siamo molto preoccupati – ribadisce il patriarca – se tutti continueranno a restare fermi nelle loro convinzioni il Paese si ritroverà in un vicolo cieco dal quale sarà tremendamente difficile uscire”.
Un vicolo nel quale l’Iraq sembra essere caduto già dal 2003, con l’invasione a opera degli Usa e della coalizione internazionale e il crollo del regime di Saddam Hussein…
L’Iraq paga 16 anni, dal 2003 ad oggi, di corruzione, malgoverno della classe politica settaria e confessionale. Per cui ogni gruppo ha sempre ricercato l’interesse particolare piuttosto che il bene del Paese. Partiti politici hanno soldi e milizie mentre tantissima gente non ha nulla e vive nella miseria.
Ieri morti e feriti a Nassiriya e Najaf. Il Governo sembra aver scelto la via della repressione, perché?
I manifestanti chiedono riforme, diritti, lavoro, servizi, vogliono giustizia, la fine della corruzione. Il Governo è incapace di venire incontro alle richieste dei manifestanti.
Ma non c’è altra via che il dialogo. La via della repressione militare scelta dal Governo non risolve il problema, piuttosto lo complica, scatenando la vendetta. In questi Paesi la mentalità di vendetta è forte, per via del sistema tribale. Se qualcuno viene ucciso quelli della sua tribù cercheranno di vendicarsi. Occorre fiducia tra manifestanti e Governo ma è difficile ricrearla in questa situazione.
Dopo il bagno di sangue a Nassiriya si è dimesso il Governatore della provincia che ha preso le distanze dalla repressione. Per indagare sui fatti il Supremo Consiglio giudiziario iracheno ha istituito una Commissione di inchiesta…
Istituire Commissioni di inchiesta non convince nessuno. Dal 2003 ne abbiamo viste tante e senza nessun risultato. Non c’è giustizia. Ho telefonato a Nassiriya ieri notte per esprimere tutta la nostra solidarietà. Alle famiglie delle vittime manderemo degli aiuti per sostenerle in questo momento così difficile.
A proposito di dialogo: c’è spazio per una mediazione e chi, eventualmente, potrebbe mediare? Non più tardi di qualche giorno aveva parlato della formazione di un’unità di crisi comune per fermare lo spargimento di sangue e iniziare a costruire uno Stato forte…
Abbiamo sempre esortato al dialogo e all’incontro come via privilegiata per raggiungere la giustizia, costruire uno Stato di diritto dove tutti siano cittadini con eguali diritti e doveri. Avevamo proposto di individuare un gruppo di saggi, riconosciuti da tutti, che potessero, da un lato porre fine alle proteste e alla repressione, e dall’altro guidare il Paese in una fase di transizione e preparare così il terreno alle necessarie e urgenti riforme, come chiede la volontà popolare. Ma non siamo stati ascoltati perché il Governo non è libero. Le pressioni sono tante.
Il 2 novembre scorso è stato a piazza Tahrir, a Baghdad, a salutare i manifestanti. Le proteste stanno colorando i muri delle città con migliaia di post-it sui quali i manifestanti scrivono i loro sogni e le loro richieste. Crede che un giorno queste verranno esaudite?
Abbracciamo e facciamo nostri i sogni degli iracheni. Sono molto colpito dal loro desiderio di vedere nascere un Paese libero, forte, stabile, sicuro, dove il progresso, la giustizia, l’uguaglianza e la cittadinanza sono i segni distintivi. I giovani sono la ricchezza del nostro Paese. Mai dal 2003 ad oggi abbiamo assistito a proteste come queste, libere dai vincoli del settarismo e del confessionalismo, nelle quali i manifestanti si sono ritrovati uniti e stretti alla loro identità nazionale irachena che è stata riscoperta. Credo che siamo davanti ad una svolta epocale per il nostro Paese. Siamo vicini a questi giovani e ogni giorno preghiamo per loro e per tutto l’Iraq. Preghiamo che il Governo ascolti le loro richieste.
Tornerà a piazza Tahrir?
Per adesso no. Non per motivi di sicurezza ma perché la mia presenza potrebbe essere male interpretata. Andrò in ospedale a fare visita ai feriti civili e militari e alle loro famiglie. Come Chiesa preghiamo che la nostra terra, la terra di Abramo, torni ad essere la terra della pace, dell’amore e della fratellanza, in particolare l’anno prossimo quando entreremo nel primo centenario dell’indipendenza dell’Iraq.